(A.G.) Vittorio Roidi è un uomo tenace. Cocciuto, si dice a Roma, la sua città. Avendogli dedicato l’intera vita, vuole salvare il giornalismo. Cerca di farlo con Professione Reporter, ma non basta. Scrive anche libri: l’ultimo si chiama “Carta straccia”, sottotitolo “Le notizie che non contano più” (Editore All Around).
“Democrazia e giornalismo”, secondo Roidi, “camminano a braccetto, ma tutti e due non se la passano bene”. Quindi, l’ex giornalista di Gr1 e Messaggero, l’ex Presidente della Fnsi e segretario dell’Ordine, vuole salvare anche la democrazia e “la democrazia ha bisogno di professionisti della notizia spinti da una forte concezione etica, dall’idea che il loro lavoro deve essere considerato un servizio pubblico vero e proprio”.
appeal sparito
In effetti, il giornalismo non va. Basterebbe dire questo: il mestiere che 40 anni fa molte ragazze e ragazzi volevano fare a tutti i costi, oggi ha perso appeal, resiste nel desiderio solo di pochi appassionati, determinati, forse démodé.
La fotografia è la seguente: una categoria che scivola verso la precarizzazione, nel peggiore dei casi a tre euro al pezzo. “Il web -scrive sempre Roidi- ha sfasciato la casa del giornalismo e ora ad alcuni appare superflua”. La possibilità per tutti di scrivere, sfornare opinioni, aggredire e, soprattutto, accreditare false informazioni, ha circondato e assediato i giornalisti, abituati a parlare ex cathedra e li ha mandati in dubbio d’identità.
Oggi poi ci sono due grandi fenomeni in grado di assestare i colpi di grazia al giornalismo che “secondo alcuni potrebbe addirittura scomparire”. Primo: l’invasione subdola della pubblicità nell’informazione, pubblicità e marketing che s’insediano fra le notizie, senza dichiararsi. Ultimo esempio l’inserto de la Repubblica per l’evento “Italian Tech Week”, con articoli che sembrano articoli e sono invece pagati da una serie di aziende. Secondo fenomeno: l’Intelligenza artificiale, in breve AI che, se lasciata governare dagli editori, rischia di riempire pagine e pagine senza troppi controlli e senza chiedere di essere difesa da un Comitato di redazione.
cambiare in fretta
Roidi prova nella seconda parte del suo libro a dare qualche suggerimento, perché bisogna “cambiare in fretta”. Di sicuro, vanno aggiornate le norme, quelle che regolano la professione, vecchie di 60 anni. Chiede al Parlamento, intanto, di proteggere i giornalisti dalle aggressioni, dai documenti secretati, dalle minacce di risarcimenti stratosferici, dagli arresti, da tutto ciò che impedisce di fare il mestiere. Perché il giornalismo è funzione pubblica primaria, come scuole e ospedali. Chiede che, al contrario di quanto prevede la proposta depositata alle Camere dall’Ordine professionale, si continui a distinguere fra professionisti, che esercitano il lavoro in esclusiva, e pubblicisti, che fanno anche altri lavori. Chiede esami di abilitazione alla professione che tengano conto di tutto quello che è accaduto e quindi certifichino anche l’abilità di fare foto, montare video, usare il telefonino, usare il web, la radio, gestire un desk. Chiede che quando i giornalisti svolgono ruoli di ufficio stampa, portavoce, comunicatori si cancellino (potendo poi tornare) dall’Albo dei professionisti, perché vanno al servizio di qualcuno e non solo dei lettori e della verità (intesa come “ricerca della”). Addirittura, prende in considerazione la creazione di un terzo elenco, quello dei comunicatori, da affiancare a professionisti e pubblicisti.
sanzioni efficaci
Detto tutto questo, c’è quello che i giornalisti debbono fare da subito e avrebbero dovuto fare da tempo. Non “fidanzarsi con i politici”. Rendere più selettivi gli esami, che nelle ultime sessioni promuovono oltre il 90 per cento dei candidati. Rendere più pronte ed efficaci le sanzioni dei Consigli di disciplina, che tra l’altro oggi sono taciute al pubblico (per presunti motivi di privacy). Rendere più equo l’aggiornamento professionale, perché in molti casi chi non lo fa viene perdonato in massa, alla faccia di chi segue le regole.
In ogni caso, dice alla fine Roidi, vi prego: di tutto questo parliamo. Gli Ordini regionali promuovano incontri nella categoria, aprano porte e finestre, diventino anche luoghi di studio e proposte. Discutiamo perché, freddati dalle crisi micidiali, abbiamo anche smesso di cercare di uscirne davvero. Solo il giornalismo professionale, con le sue regole deontologiche, è l’antidoto alle fake news, l’antidoto ai discorsi di tutti i nostri giorni , dal Covid alle guerre, dove sembra che tutti abbiano torto nello stesso modo. Solo il giornalismo può dare ai cittadini gli strumenti per capire e risolvere i problemi.
“La democrazia -dice Giancarlo Tartaglia nella prefazione- si basa sulla mediazione, sulla tolleranza sul riconoscimento e il rispetto della pluralità delle opinioni”. Come il buon giornalismo. Al contrario di molti batti e ribatti sui social.
“Carta straccia” è dedicato ad Andrea Purgatori, che scavava e ragionava sui fatti.
Corro a comprare questo libro. Sono completamente d’accordo con la tesi che la crisi dei giornali significhi anche crisi della democrazia. Non so quale sia la causa e quale la conseguenza. Ma so una cosa oer esperienza diretta: ci sono tanti giovani che non si informano, non leggono i giornali né di carta né online, quasi mai seguono un TG o un giornale radio, se va bene leggiucchiano qualche titolo di quelli proposti dagli algoritmi. Questi ragazzi non sanno che cos’è una “manovra” di bilancio, non sanno cos’è la Consulta, sanno pochissimo di storia e dell’architettura istituzionale di un paese, e dell’Italia in particolare. Come fanno dunque a votare in maniera consapevole? Come fanno a contribuire alla democrazia? Ecco, finché ancora un po’ di giornalismo esiste, dobbiamo porci questi problemi. Non so se c’è ancora tempo però.