di MARIO TEDESCHINI LALLI
Qualche giorno fa, al festival Glocal organizzato come ogni anno da VareseNews, ho partecipato con piacere alla tavola rotonda “La rete che dimentica: la deindicizzazione automatica degli articoli”, con Lorenzo Bagnoli, Raffaele Angius, di IRPI Media, e Andrea Camurani, che ci ha coordinati. Lorenzo e Raffaele hanno parlato della loro inchiesta sul business della cancellazione, su quelle aziende, cioè, che con minacce o altri mezzi ottengono la “ripulitura” del passato dei loro clienti, chiedendo e ottenendo la “de-indicizzazione” da Google degli articoli sgraditi. Io ho parlato del problema successivo, quello della vera e propria cancellazione degli articoli nel database della testata, del quale mi sono spesso occupato. Abbiamo cioè parlato del problema che il cosiddetto diritto all’oblio crea per la missione informativa del giornalismo.
quieto vivere
Ho ricordato quanto avevo già scritto in un pezzo all’inizio del 2024 (Diritto all’oblio e giornalismo. Primo: non cancellare), cioè che gli editori italiani, per quieto vivere, tendono ad accettare le richieste di cancellazione degli articoli, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Quel caso, infatti, riguardava un’ordinanza del Garante della privacy secondo il quale non sarebbe stato necessario cancellare certi articoli, ma invece la grande maggioranza degli editori aveva già provveduto.
Come succede nelle iniziative di successo, la discussione è brevemente proseguita con il pubblico e una persona che lavora in una redazione ha confermato l’esistenza del problema, in forma piuttosto clamorosa: nella sua testata c’è l’abitudine di andare anche al di là delle richieste degli avvocati, se qualcuno, invocando il diritto all’oblio, chiede la de-indicizzazione di un articolo dai motori di ricerca (cioè che l’articolo non sia più raggiungibile da Google), per non aver altre grane si procede tout court alla cancellazione del pezzo dal database del giornale. Quell’articolo, cioè, non sarà più raggiungibile da nessuno, neanche andando sul sito della testata e cercandolo col motore di ricerca interno.
valore informativo
Tutto questo è indice della scarsa o nulla consapevolezza del valore informativo dei prodotti giornalistici nel tempo. Da tempo sostengo che la questione ha una rilevanza anche costituzionale (vedi: Riflessioni su un quarto di secolo di giornalismo digitale: le invarianti):
“L’articolo 21 della Costituzione e la legge sulla Stampa del 1948 sono state concepite quando la “stampa” e il “giornalismo” erano attività per il presente, cioè quando tempo di pubblicazione e tempo di fruizione coincidevano. Che succede quando non coincidono più?
Affermo che i diritti sanciti dalla Costituzione sono indivisibili nel tempo, anche quelli dell’art. 21 (…)
Accetteremmo mai che la libertà di espressione sancita dalla Costituzione fosse limitata… nello spazio? Tipo: puoi scrivere quello che vuoi a Roma, ma non a Venezia, o non puoi distribuirlo a Venezia? Puoi pubblicare un articolo sulla mafia a Milano, ma non farlo leggere a Palermo?
Perché, allora, in via di principio dovremmo accettare che la libertà di espressione e la libertà di stampa siano limitate nel tempo?”.
discussione con il pubblico
Il dibattito di Varese e il dettaglio aggiunto nella discussione con il pubblico mi hanno fatto scattare anche un altro tipo di riflessione: de-indicizzare un pezzo o, peggio ancora, cancellarlo completamente va incontro ai desideri e, forse, al diritto di certe persone a non veder più il proprio nome associato a quel pezzo, ma viola i diritti di terzi. Per esempio, il diritto di un’altra persona o di altra entità citate nel pezzo, che potrebbero avere interesse a mantenere visibile l’articolo. Ma anche -ho pensato mentre rientravo a casa con il treno- il diritto dell’autore.
Non sono un grande fan del diritto d’autore applicato al giornalismo (vedi: Copyright, illusioni e realtà nel giornalismo italiano), ma gli autori non hanno solo diritti “economici” (es.: diritto di riproduzione), hanno anche diritti “morali”, regolati in Italia dall’articolo 20 della Legge 633 del 22 aprile 1941, “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”:
“Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”.
radicale mutilazione
Oso supporre che la totale cancellazione di un pezzo a suo tempo regolarmente pubblicato, sia da considerare un atto analogo e più grave delle fattispecie elencate: la cancellazione è la più radicale delle “mutilazioni”, o no?
Al prodotto giornalistico si applica il concetto dei diritti morali dell’autore? Certo che sì, tanto che il Contratto nazionale di lavoro sottoscritto dalla Federazione nazionale della stampa (FNSI, il sindacato) e dalla Federazione italiana editori di giornali (FIEG) prevede, ad esempio, le seguenti regole:
Articolo 4: Gli articoli ed i servizi pubblicati con la firma devono di norma comparire nel testo rilasciato dal giornalista. Il direttore del giornale ha diritto di introdurre quelle modificazioni di forma che sono richieste dalla natura e dai fini del giornale. Negli articoli da riprodursi senza indicazione del nome dell’autore, questa facoltà si estende alla soppressione o riduzione di parti di detto articolo.
Articolo 9: “Modifiche ed integrazioni sostanziali ad ogni articolo o servizio firmato devono essere apportate con il consenso dell’autore, sempre che sia reperibile; l’articolo non dovrà comparire firmato nel caso in cui le modifiche siano apportate senza l’assenso del giornalista.”
materia sindacale
Si tratta, con ogni evidenza, di norme che riguardano i “diritti morali” dei giornalisti e delle giornaliste, che disciplinano i limiti delle modifiche apportabili al loro prodotto. Certo, non riguardano il caso in specie (anche perché nel mondo pre-digitale il problema non si poneva), ma affermano chiaramente, anche se indirettamente, che chi firma un pezzo ha sul medesimo diritti che non riguardano solo la sua riproduzione. E si badi bene: il diritto morale di un autore sulla sua opera, a differenza di quello patrimoniale, è “inalienabile e intrasmissibile”.
Non so con esattezza come debbano essere disciplinate queste faccende, ma penso che debbano essere materia di discussione, anche sindacale. La Fnsi o, comunque, i Comitati di redazione (che rappresentano sindacalmente giornaliste e giornalisti) dovrebbero chiedere alla direzione delle loro testate e agli editori:
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- che si stabiliscano procedure chiare e ufficiali per decidere se accettare o respingere richieste di de-indicizzazione o addirittura di cancellazione
- che gli autori — se raggiungibili — siano inseriti nel procedimento
- che, specialmente, si discutano, si stabiliscano e si rendano pubblici i criteri in base ai quali accettare o respingere richieste di modifiche al pubblicato.
Le redazioni, inoltre, dovrebbero discutere al loro interno criteri e procedure per intervenire, eventualmente, sui materiali pubblicati, per aggiornarli o se del caso correggerli, non solo perché ce lo chiede minacciosamente un avvocato, ma perché è nostro compito dare informazioni accurate e complete. Se col passare del tempo le informazioni precedentemente fornite risultano inaccurate o se sono nel frattempo emersi importanti elementi in precedenza ignoti, fa parte della missione del giornalismo aggiungere e completare.
Insomma, ne vogliamo parlare?
(Dal canale Medium di Mario Tedeschini Lalli, ripubblicato con la sua autorizzazione)