di ROBERTO SEGHETTI
Ho letto con interesse l’articolo in cui Vittorio Roidi ci invita a riflettere sul ruolo del giornalismo e su come si possa rilanciare. È un piacere vedere come Vittorio continui la battaglia per un giornalismo di qualità. Tuttavia, da tempo nutro molti dubbi sulla possibilità di salvarci così come siamo stati (e non è detto che la nostra memoria non imbelletti un po’ troppo la realtà). In estrema sintesi, penso che ci si possa salvare, ma non tutti e non in tutte le forme che il giornalismo ha adottato.
Mi spiego, partendo da un ricordo personale. Quando dal Messaggero approdai a Panorama, 1988, scoprii man mano che nei settimanali il rapporto tra la pubblicità e l’informazione era molto più stretto (o evidente) rispetto ai quotidiani, in particolare nella seconda parte dei periodici (temi sociali, moda, curiosità, ecc..). Scoprii per esempio che nei periodici di moda, il giornalista spesso si limita a scrivere dida a prodotti scelti (quando non direttamente inviati) tra quelli delle principali case italiane e straniere.
geneticamente modificate
Dopo qualche anno di lavoro, nel 2005, scrissi anche un articolo per Problemi dell’informazione, non a caso intitolato “Inchieste geneticamente modificate”. Pensavo di essere avanti nell’analisi. Quello stesso anno scoprii, invece, di essere arrivato buon ultimo, quando andai a vedere il bel film di George Clooney intitolato “Good night and good luck”.
In quella storia (cito a memoria), ripresa da un caso degli anni Cinquanta, un bravo e famoso giornalista si batte come un leone per una causa giusta, ma in mezzo a tanto rigore deve fare una battaglia durissima (non è il cuore del film, ma è significativo che questo venga messo in rilievo in una storia sugli anni Cinquanta e Sessanta) perché l’editore intende far terminare il programma con le previsioni del tempo, togliendo spazio e minuti alla cronaca. La ragione? Semplice: non puoi mettere una pubblicità, dove tipicamente sono tutti felici e sorridenti, subito dopo una cruda narrazione di cronaca. Stona e fa risaltare la falsità della pubblicità. Preistoria tv.
previsioni del tempo
È cambiato qualcosa? Siamo pieni di previsioni del tempo, materia neutra, che non pone problemi. Così come non è un caso se i telegiornali finiscono tutti con una notizia che fa sorridere.
Ma la struttura economica delle tv e dei quotidiani tradizionali lo esige: i costi elevati e il calo delle vendite mette l’industria dell’informazione nelle mani della pubblicità. Nei fatti pochi giornali resistono sul piano finanziario. Rcs tanto per dire. A volte il Sole. Altri continuano a sforzarsi di fare un buon lavoro, anche se in difficoltà economiche (vedi La Stampa). Altri ancora mollano gli ormeggi.
one man show
La pubblicità è un sostegno ineludibile. Così come lo sono i costi. Si pensi alle scelte della Tv. Tanto per fare un esempio, i talk show costano meno di un programma di inchieste e, grazie al fatto che si trasformano spesso (e spesso volutamente) in un teatrino di marionette, diventano infotainment, dove conta la notorietà degli attori, i contrasti (Pulcinella e Margherita si picchiano sempre), magari anche le urla, cose che attirano pubblico e… pubblicità. Stesso discorso per gli one man show di alcuni tra i più affermati giornalisti. Potrebbero essere pezzi di teatro, anche interessanti e di qualità. Ma un po’ è informazione e un po’ spettacolo.
La pubblicità non va inoltre considerata solo sub specie commerciale. Porta soldi e sostenibilità anche quella forma di pubblicità che risponde al nome di propaganda politica. Vi sono non poche testate che sopravvivono grazie a uno schieramento senza limiti, senza discernimento, senza verità. Sono giornali che vivono, hanno una redazione, occupano uno spazio nella non estesa rassegna stampa quotidiana grazie a loro schieramento senza condizioni.
scioperi sul contratto
Date queste caratteristiche, si può separare il giornalismo dalla pubblicità commerciale, limitare la semplice e bruta propaganda e evitare la commistione eccessiva tra informazione e spettacolo? Mi dispiace dirlo, non credo che bastino la buona volontà degli ordini e del sindacato. Contano, certo, e penso che sia pure importante fare battaglie su questi temi. Ma sono i singoli che fanno un collettivo. E oggi i singoli sono più deboli di ieri, gli ci vuole più coraggio per alzare la testa in un mondo in ritirata, gli manca la formazione, l’esperienza, la sensibilità alle battaglie collettive dei decenni che furono. Da tempo immemorabile non si riescono nemmeno a fare scioperi generali sul contratto, figuriamoci battaglie generali sul tema della pubblicità. Ciascun giornale per sé, e non tutta la redazione. Non a caso sono più deboli anche ordine e sindacato.
bravi e tenaci
Forse l’unico posto dove i giornalisti potrebbero pesare di più senza avere troppa paura è la Rai. Ma accade? Nel complesso, no; tanto che gli esempi virtuosi (che ci sono) appaiono come eroi, invece che come giornalisti che fanno semplicemente il proprio mestiere.
Non è facile uscirne. La sostenibilità del conto economico riguarda anche i singoli. Un bravo giornalista che voglia vivere senza dover sottostare alle mille gabole di una redazione può farlo? Se è già molto famoso, sì. Di esempi ce ne sono. Alcuni sono i protagonisti di programmi Tv affascinanti. Di più. Molte piattaforme oggi sono sfruttate per veicolare, a pagamento, articoli intelligenti, informati, interessanti. Alcuni giornalisti riescono a proporre programmi, libri, articoli. Se sei conosciuto puoi tentare questa strada. Anzi, forse questa strada è oggi la migliore opportunità per un giornalismo libero davvero. Se sei bravo, tenace e soprattutto già conosciuto puoi farcela.
le buone relazioni
Ma per diventare molto conosciuto nella maggior parte dei casi devi usare il trampolino di una nobile testata. Non basta essere solo bravi, bisogna anche essere conosciuti e avere buone relazioni. Una specie di comma 22, insomma.
Per intenderci: può un bravo giovane vivere come free lance oggi? Può inventare di sana pianta un blog con il quale campare? Se è già conosciuto sì. Altrimenti, uno su mille ce la fa, come dice Gianni Morandi. Gli altri rischiano di poter al massimo sopravvivere, se ci riescono. Il buon giornalismo non è come un balletto su tik tok, i consigli di uno youtuber sul taglio dei capelli a casa o la foto di un gattino che fa le fusa. Non ha lo stesso appeal, né la stessa ampiezza di pubblico.
analfabeti funzionali
In conclusione, io non credo che si possa salvare tutto. Il buon giornalismo è più difficile da fare, più difficile da leggere, in un paese pieno di analfabeti funzionali (vedi dati Ocse) ha meno pubblico. Ma non è che in passato i lettori fossero poi così tanti, se li avessimo confrontati con quelli degli altri paesi avanzati. Come ho già detto, ci sono anche eccezioni, esempi positivi. Senza dire che resterebbe la missione di in-formare i lettori, aiutandoli a evolvere. Ma attenzione: in Tv, tanto per dire, ci sono alcuni buoni programmi di approfondimento, ma non riescono quasi mai a toccare il 10 per cento del pubblico disponibile, che sarebbe già un risultato più che brillante.
il tempo di carosello
Dunque? Credo che ci possa ancora essere spazio per il buon giornalismo. Ma non credo che oggi siamo nelle condizioni di prevedere che ci possa essere un buon giornalismo generalizzato, capillare, fatto di tanti quotidiani. Partiamo dai piccoli spazi possibili e, nel caso, vediamo se si possono allargare un po’ (che già sembra un vasto programma), invece di partire da un obiettivo generale che nella realtà oggi appare largamente fuori portata.
D’altra parte, anche quando di quotidiani ce ne erano di più e vendevano di più non è che il buon giornalismo fosse poi così diffuso come ricordiamo. Anche allora c’era da combattere. Anche allora vi erano aree di ambiguità. E certo la tua e la mia generazione, caro Vittorio, forse è stata più combattiva. Ma le condizioni erano anche diverse, diverso il momento. Era più semplice separare pubblicità e informazione. In Rai la pubblicità veniva addirittura confinata in un contenitore (Carosello). Oggi i confini sono più labili. Ci vuole più coraggio, convinzioni forti e più determinazione per mettersi in gioco e rischiare in un mondo che va da tutt’altra parte.