Il nuovo libro di Michele Mezza –“Connessi a Morte:Guerra, media e democrazia nella società della cybersecurity” (Donzelli Editore)- offre una prima riflessione su eventi che si ripetono in questi giorni, come le modalità digitali delle guerre in corso in Ucraina e a Gaza, dove con l’Intelligenza artificiale si pianificano gli attacchi ai centri residenziali, individuando i singoli nemici da eliminare, oppure il modo con cui si conducono le campagne elettorali, da quella che ha incoronato la coppia Trump/Musk, a quella che vediamo incriminata in Romania.
L’oggetto di riflessione di Mezza “ è l’informazione che diventa logistica militare, adottando gli strumenti tipici del mestiere di giornalista come armi di una guerra ibrida che mira ad inquinare ogni fonte per documentare ogni fatto”. Proprio il giornalismo, la sua evoluzione, quella che l’autore chiama “mediamorfosi”, è il protagonista di un’epoca in cui “si combatte come si vive e si vive come ci si informa: scambiando e manipolando segni e sogni”.
soluzioni per la crisi
Ovviamente il metodo del ragionamento è quello di un giornalista: si individuano le notizie, si risale alle fonti, si selezionano i documenti attendibili da quelli manipolati, e si descrive uno scenario. Non spetta al giornalista dare ricette o illustrare strategie, anche se Mezza prova a proporre soluzioni per la crisi del nostro mondo.
Lo scenario che si profila è gravido di minacce e soprattuto di dolore. La crudezza dell’esposizione nel testo potrebbe risultare irritante per chi si accosta alla professione sulla spinta delle antiche suggestioni di “uno dei mestieri più belli del mondo”. Il contesto generale è quello che conosciamo: riduzione vertiginosa delle risorse e dell’occupazione, a fronte di una mutazione genetica della modalità di praticare quel mestiere.
identità e autonomia
Il libro considera tre scenari fondamentali per rintracciare quella che viene indicata come la tendenza fondamentale, ossia una ormai inevitabile convergenza fra informazione e informatica, che Mezza considera come l’unica opzione per salvaguardare identità e autonomia dei giornalisti.
Il primo scenario è quello della guerra.
Si coglie nel testo una svolta che era sfuggita a molti osservatori, attorno al primo decennio del nuovo secolo, quando si sviluppa nel cuore degli apparati militari un dibattito molto denso sulle nuove dinamiche sociali e tecnologiche del modo di combattere. Dal Pentagono al Kremlino fino alla Cina, sono i generali che interpretano il cambio di scena che la rete impone in tutte le relazioni sociali, a partire proprio dalla guerra. “Dobbiamo ammettere con riluttanza come sia internet oggi a fare la storia”, è la constatazione del generale cinese Quiao Liang riportata dal testo a sugello di quel capitolo.
senso comune
Ma, insiste Mezza, parlando ai colleghi delle redazioni, la tecnologia non esiste, esistono appunto i rapporti sociali, il modo di produrre e di fare comunità, di cui il sistema digitale è strumento. Dunque bisogna guardare agli individui -ai lavoratori, agli utenti, ai clienti, ai lettori- per capire come si evolvono le tecnologie. E la guerra, seguendo appunto la “mediamorfosi”, diventa “guerra ibrida”, come dice il Capo di Stato maggiore russo Gerasimov, in cui “si combatte interferendo nel senso comune dell’avversario”.
Questo è lo snodo che ci conduce ai nuovi feroci conflitti di questi mesi, dove in Ucraina e in Medioriente vediamo che va in scena la guerra alla verità. La diversità rispetto al passato, dove ogni guerra è stata propaganda per contrastare l’immagine del nemico, è che oggi proprio grazie alla cassetta degli attrezzi del giornalismo si mira ad interferire nel pensiero e nei comportamenti di ogni singolo cittadino, alterandone percezioni e consapevolezze.
separazione fra potestà
Il secondo scenario su cui si sofferma il saggio è l’integrazione dell’Intelligenza artificiale nella macchina statale: cosa accade, si chiede Mezza, quando lo Stato diventa intelligente? Come mutano le relazioni con i cittadini, gli interessi, la politica, l’informazione? Uno Stato che comincia, come sta accadendo perfino nel nostro Paese, ad usare risorse generative per guidare i suoi apparati, come esercita i poteri costituzionali? Come rispetta la separazione fra le diverse potestà?
Infine, arriviamo al nostro mondo. Il capitolo sul giornalismo è intitolato: “L’informazione come guerra permanente: il giornalismo nel tempo della cybersecurity”.
La conclusione è che se si combatte, in guerra e in pace, alterando le fonti, il giornalismo diventa una categoria della cybersecurity, di quelle tecniche che fino ad ieri garantivano la privacy dei contenitori, dei data base e dei nostri terminali, e che oggi invece devono occuparsi della trasparenza del contenuto, del flusso delle notizie che formano l’opinione pubblica.
batterie di agenti
Gli esempi che il libro ricostruisce sono diversi, dalla spettacolare azione dei cercapersone degli hezbollah, al caso del Bayesan la barca dei misteri, affondata al largo della Sicilia, fino alla gigantesca operazione di intercettazione dei conti di quasi un milione di cittadini italiani, per arrivare ai linguaggi di automatizzazione della disinformazione mediante batterie di agenti intelligenti.
In questa nuova dimensione i giornalisti si trovano spalla a spalla con apparati, competenze e poteri oscuri, che mirano a minacciare l’autonomia di un paese. E inevitabilmente devono trovare nuove ragioni per sostenere la propria personalità professionale, divincolandosi da ogni strumentalizzazione, ma non ignorando che sono parte di un sistema di difesa nazionale.
padrone delle memorie
Sono le competenze, chiosa Mezza al termine, quelle che oggi possono garantire una distinzione di ruoli e comportamenti, imponendo un sostegno robusto dei sistemi giornalistici per ogni Paese, ma garantendo la piena autonomia ai singoli operatori dell’informazione. Competenze che devono, proprio perché siamo in una dimensione che afferisce la sicurezza nazionale, essere rispettate e favorite ai fini dell’interesse nazionale. Ma devono innanzitutto essere sviluppate e formate.
Il libro, che è introdotto dalla prefazione di Barbara Carfagna, autrice e conduttrice di “Codice” di Rai1, e con una postfazione di Arturo Di Corinto, responsabile della comunicazione dell’Agenzia per la Cybersecurity nazionale, si chiude con un ammonimento difficile da eludere: un giornalista che non è padrone delle proprie memorie e intelligenze è sempre subalterno ad un fornitore che ha un interesse avverso al suo.