Pochi colleghi hanno speso, come lui, tanti anni negli organismi di rappresentanza della categoria. Elio Donno è uno dei più stimati giornalisti di Puglia. Salentino, per più di sessanta primavere al Corriere dello Sport (tifoso accanito del Lecce), in questo ultimo triennio è stato (ed è ancora) presidente del Consiglio di disciplina nazionale, l’organo nazionale al quale propongono appello i giornalisti condannati dal consiglio di disciplina della regione.
Donno, per te giudice supremo, qual è il problema più grave?
“E’ la scarsa conoscenza delle norme del Testo Unico dei Doveri del giornalista. Molti non le hanno mai lette o lo hanno fatto superficialmente, per cui non sanno cosa si può fare e cosa è proibito. Qualcuno addirittura si è giustificato dicendo che non sapeva di un determinato divieto.
A giugno entrerà in vigore il nuovo Codice Deontologico, per cui credo che gli Ordini debbano fare un’ampia campagna informativa a tutti i livelli”.
Ed è quasi nullo il lavoro di ricerca delle ‘infrazioni’. A Milano invece hanno costituito un comitato interno al Consiglio regionale, colleghi che tutti i giorni leggono i giornali e cercano…ma altrove….
“Non mi risulta che ci sia in altre regioni, mentre ritengo indispensabile la ricerca ed il controllo delle violazioni delle norme deontologiche. Peraltro è uno dei compiti fondamentali dell’Ordine vigilare sulla condotta degli iscritti, segnalando i casi al Consiglio del territorio perché valuti i casi segnalati, svolga il procedimento ed emetta un giudizio come la legge ha previsto. Penso di potere affermare che spesso i procedimenti disciplinari siano avviati sulla base di esposti di colleghi e di terzi”.
E quale riforma tu faresti per prima?
“Bisognerebbe eliminare il legame tassativo che la legge ha posto indicando come giudice naturale l’Ordine dove uno è iscritto, senza dovere di volta in volta ricorrere alle procedure dell’astensione, ma lasciando tale facoltà al Presidente del CdT. Questo naturalmente nelle piccole Regioni, in alcune delle quali a volte è stato difficile trovare colleghi disposti a far parte dei Consigli territoriali per poi giudicare. Infatti, il controllo e il giudizio, che sono il compito principale del Consiglio diventa spesso difficile perché nelle piccole realtà molti si conoscono per colleganza o amicizia. Si finisce per dover ricorrere all’astensione dei tre collegi prima di trasferire il fascicolo all’ Ordine di una regione vicina, in base ad ‘accoppiamenti’ che sono stati predefiniti (chi è nel Lazio, per esempio, viene giudicato in Sardegna). E poi: siamo l’unico Ordine che ha cinque gradi di giudizio e ne può avere addirittura un sesto se la Cassazione restituisce gli atti alla Corte d’Appello. A mio parere, andrebbe fatta una riforma che snellisca le procedure: già tentò il governo Gentiloni qualche anno fa, con un disegno di legge, poi lasciato decadere”.
C’è questo grosso inciampo che è nato con la legge che ha istituito l’istruzione obbligatoria. Non funziona. Quasi tutti gli Ordini hanno centinaia di iscritti che nel triennio non raggiungono i crediti previsti, anzi molti vengono chiamiati “zeristi” perché non hanno neppure un credito. Migliaia di pratiche che si riversano sui Consigli di disciplina, ora c’è un ritardo di più di due anni…
“Anche qui il problema è l’aver voluto prevedere sanzioni di natura disciplinare, che richiedono le relative procedure, caricando i CdT di oneri pesanti per arrivare a sanzioni peraltro automaticamente prefissate. Si dovrebbe cercare una soluzione che consenta di sanzionare queste omissioni per via amministrativa da parte dei Consigli Regionali. Ma questo va fatto con una disposizione di legge, che dovrebbe liberare i CdT e, in caso di ricorso, il Consiglio nazionale, da un onere così pesante”.
In questo nostro dibattitto su Professione Reporter, lanciato in occasione delle elezioni negli Ordini, Ferruccio De Bortoli ha detto che i giornalisti italiani dovrebbero mostrare di nuovo orgoglio e dovrebbero dire ai cittadini che vogliono assumersi maggiori responsabilità, lo pensi anche tu?
“Certo, l’orgoglio di cui parla De Bortoli deve essere mostrato, ma a tutti i livelli, specie da parte dei giornalisti più noti, che vengono presi ad esempio; quando, da parte loro, non c’è continenza nel linguaggio o vi sono atteggiamenti non edificanti, i più giovani che devono fare? Spesso purtroppo li imitano. Più che le sanzioni disciplinari, credo che, appunto, valga, assieme al senso di responsabilità, l’orgoglio di esercitare una professione, accerchiata e spesso vilipesa, ma ‘unica’ se esercitata rispettando le regole deontologiche”.
Poi c’è il problema della pubblicità. Che si è ingigantito perché la pubblicità, che in varie forme sorregge l’intero settore economico dell’informazione, si è trasformata, si mescola con le notizie, le inquina, ci sono sotterfugi, sono cadute molte barriere.
“La pubblicità si nasconde. E’ un problema molto serio perché è un’evoluzione spesso subdola. Una volta vedevo chiaramente cosa era pubblicità oggi non è più così, soprattutto per colpa dei ‘social’.
Con alcune decisioni il Consiglio di Disciplina Nazionale ha comunque ribadito il principio che il giornalista è sanzionabile, anche se pubblica fotografie e post sul suo profilo social, allorquando sponsorizza un brand o un esercizio commerciale. Le delibere hanno inoltre affrontato temi che riguardano la pubblicità nativa e l’impossibilità, per il giornalista, di porsi al pubblico come influencer, alimentando la reputazione on line di brand dall’indubbio valore economico”.
Serve dunque una legge profonda, nuova.
“Questa ormai è vecchia. C’è l’articolo 2 sulla finalità del giornalismo, come scolpito nel marmo, ma il resto è superato. Io, tra le varie norme, ne suggerirei una che riguarda i parlamentari iscritti all’Ordine i quali, una volta entrati, in Parlamento, se criticati attaccano l’Ordine oppure offendono dei colleghi, ma non possono essere sottoposti a procedimento disciplinare perché c’è il paravento delle affermazioni fatte nell’esercizio di una funzione pubblica. Allora -a mio parere- andrebbe introdotta una norma in base alla quale, per il tutto il periodo nel quale hanno il ruolo di parlamentari, l’iscrizione all’Ordine venga sospesa. Che senso ha, essere iscritti, e poi sottrarsi ad un eventuale procedimento disciplinare nell’ipotesi, naturalmente da verificare ed accertare, di violazioni di norme?”.
Professione Reporter
(nella foto, Elio Donno)