di ALBERTO FERRIGOLO

“Con l’Ordine abbiamo avuto un rapporto altalenante, spesso conflittuale, però ci siamo sempre ascoltati. Forse bisognerebbe ascoltarsi sistematicamente, perché siamo sempre di più e non si può ignorare che esistono figure come le nostre, giornalisti di domani. Il giornalismo sta diventando per immagini, quello di chi inizia facendo il videomaker”.

Quarant’anni, Cristina Pantaleoni è la Presidente di GVpress, associazione Giornalisti Videomaker, nata nel 2017, cento e otto iscritti su tutto il territorio nazionale, “quelli con in mano la telecamerina”, come vengono definiti in modo sminuente, che si battono per essere riconosciuti non solo dall’Ordine, ma anche dalle istituzioni, nelle sale stampa pubbliche e private, in tutti i luoghi dove accadono i fatti.

Spesso realizzano più d’uno scoop, creano casi che vanno con grande risonanza sui giornali, agitano la politica, scuotono l’opinione pubblica. Esempi? Il video su “Viva l’Italia antifascista” gridato alla prima della Scala, così come la domanda posta a Ignazio La Russa al Binario 21 (“Si sente antifascista oggi?”), che tanta eco ha sollevato, oppure farsi assumere come fattorino da Deliveroo per realizzare un servizio dall’interno del settore dei ryders. O la ripresa del figlio di Salvini al mare sulla moto d’acqua della Polizia, diventato un caso. Tutto realizzato da videomakers, visti spesso come guastatori, per questo mal tollerati.

Cristina Pantaloni è iscritta all’Ordine dei giornalisti, “ma come pubblicista”, precisa. E spiega: “Il praticantato avrei potuto averlo d’ufficio senza problemi, lavoro da 17 anni, avrei potuto svolgerlo con Repubblica, ma non l’ho fatto perché ai tempi avevo anche un altro lavoro con un contratto regolare, non a partita Iva, che era inconciliabile, giustamente”.

Sui 108 scritti a GVpress la divisione tra professionisti e pubblicisti iscritti all’Ordine è all’incirca fifty-fifty, ma l’obiettivo di tutti è “chiedere una riforma della professione”, dunque dell’Ordine, che includa i giornalisti videomakers. “Visto che al suo interno ci sono tante figure di giornalismo e di giornalisti. Perché non deve esistere anche quella di videomaker?”, si chiede Pantaleoni.

Quali difficoltà incontrate?

“Il problema è che le istituzioni non riconoscono la figura e il ruolo del giornalista videomaker. Se dobbiamo accedere alla Camera dei deputati con la telecamera dobbiamo prendere il pass da operatore, il che significa che se sei al ‘pannello’ dove si fanno le dichiarazioni, in qualità di operatore con tesserino rosso non puoi fare le domande. È così da regolamento. Un collega ha fatto una domanda ed è stato sospeso per tre mesi, anche se è iscritto all’Ordine. Nel momento in cui entri con la telecamera in mano sei un operatore e gli operatori non possono fare domande”.

A Palazzo Chigi potete entrare?

“Dopo una lunga controversia Palazzo Chigi ci ha riconosciuto il doppio ruolo di operatore e giornalista inserendo una clausola ad hoc nel regolamento d’accesso, alla pari dei giornalisti di carta stampata e fotoreporter. È così dall’anno del Covid, il 2020. All’epoca avevamo redatto un protocollo di sicurezza per evitare assembramenti che potessero mettere a rischio la salute di tutti”.

Cosa conteneva il protocollo?

“Banalmente suggeriva conferenze online, l’uso del cortile all’aperto per dichiarazioni, in modo da poter sempre consentire il diritto di cronaca. Se ricordi, le prime conferenze stampa di Conte erano videomessaggi senza la stampa…”.

Dicevi di un rapporto altalenante e a volte conflittuale con l’Ordine. Puoi chiarire?

“Vogliamo il riconoscimento pieno della nostra categoria perché nel momento in cui l’Ordine la riconosce ci consente di poter stipulare il Contratto nazionale di lavoro, prevedere e stabilire un tariffario delle prestazioni. Ci sono giornalisti che ancor oggi prendono 3 euro a video, inaccettabile. Anche 50 euro lordi non sono nulla”.

Freelance, videomaker o meno, sostengono le spese da sé…

“Esatto. Se si considera l’attrezzatura, il computer, la telecamera, il microfono si parla d’un investimento iniziale di almeno 3 mila euro, che devi mettere tu personalmente. Aggiungi l’abbonamento a internet tutti i mesi, la macchina per spostarti, i mezzi di produzione insomma”.

Cosa servirebbe invece?

“Servirebbe quella che noi chiamiamo ‘indennità di strada’, qualcosa in più che permetta d’andare a coprire le tante voci. Ma se non viene regolamentata la nostra figura professionale, come si può stipulare un contratto e varare un tariffario?”

L’Ordine dei giornalisti cosa vi ha risposto?

“All’inizio ci hanno detto che la figura del giornalista videomaker esisteva già ed è quella dei tele-cineoperatori. In realtà non sono la stessa cosa. Le difficoltà più grandi che ho trovato e lo stupore riscontrato nel vedere le facce dei colleghi nelle riunioni organizzate dall’Ordine quando dicevo: ‘Aprite la pagina di Repubblica, quel video è firmato Cristina Pantaleoni. È mio, l’ho fatto io…, firmo come qualsiasi giornalista”.

Dai la definizione esatta di videomaker.

“Un giornalista che invece di usare carta e penna, banalmente usa telecamera e microfono. Cambia il mezzo, lo strumento, non la finalità. Tutto il resto resta uguale, per gli uni e per gli altri. Fare il giornalista videomaker oggi è uno dei modi più semplice, tra virgolette, anche se più faticoso per accedere alla professione”.

Qual è la realtà dei videomakers?

“Ci sono molti più ragazzi. A Palazzo Chigi sono tutti under 30. Stanno iniziando con la telecamera e a un ragazzo di 25 anni che vuole iniziare non capiterà mai una così ampia gamma di esperienze come quelle che si fanno da videomaker. S’imparano tante cose insieme, a cavarsela da soli, come muoversi tra i Palazzi. S’impara sulla strada, non con qualcuno accanto o sui libri. Il videomaker è un giornalista on the road. Sbagliando s’impara, ma s’impara anche facendo rete. Cosa che i giornalisti della carta raramente fanno”.

Come sono fatti, gli esami di stato sono alla vostra portata?

“Nemmeno per idea. Gli esami andrebbero riformati, adeguati ai tempi. Lo diceva anche Picozza nell’intervista a Professione Reporter: perché devo scrivere un pezzo per la dimensione di un giornale o di un’agenzia se non scrivo mai, se mi esprimo con una telecamera e faccio tutt’altro? Quando mi sono iscritta all’Albo dei pubblicisti era il 2011, e ho dovuto sostenere un esame d’ammissione”.

In cosa è consistito?

“Un esame orale col Presidente dell’Ordine, Bruno Tucci, un esame di cultura generale, di storia, di deontologia. A me chiese chi era seduto a Yalta, per esempio, e la Carta di Roma. Esame che, dopo Tucci, è stato abolito. Secondo me non era sbagliato sostenerlo per fare il pubblicista…”.

Come andrebbero cambiati gli esami, dal punto di vista di una videomaker?

“Andrebbero indirizzati o tarati sulle diverse categorie o tipologie espressive. Non è poi detto che un giornalista resti a fare quello per sempre. Il mondo del giornalismo è già stato rivoluzionato abbastanza, ci sono i social, i social media, ci si dovrebbe aprire di più”.

Lo ritieni utile l’Ordine?

“Se fa rete sì. Deve farne un po’ di più. A volte mi sono scontrata anche col sindacato, perché se quasi nessun giovane è iscritto forse c’è un problema. Significa che sindacato e Ordine non sono più vicini a quanti devono entrare nella professione, ma solo a chi c’è già da tempo. Forse sono i ragazzi che hanno 25 anni quelli più importanti da includere. A noi 40enni hanno anche provato a includerci, ma poi si sono scontrati con la realtà…”.

Che sarebbe?

“Se non vengono mai incluse le nuove generazioni di giornalisti, come si fa ad avvicinarle a Ordine e sindacato? Impossibile. Ad ogni modo noi rivendichiamo la nostra iscrizione, ci teniamo, abbiamo faticato per ottenerla, molti di noi ci credono davvero. Ma l’Ordine deve forse trasformarsi anche in un’’agenzia di servizi’. Molti s’iscrivono a GVpress perché facciamo rete, per qualsiasi cosa c’è un gruppo che aiuta, come aprire una partita Iva, come fare con l’Inpgi, come trovare corsi di formazione. Si chiama ‘mutuo soccorso’, cosa che potrebbe fare anche l’Ordine mettendo a disposizione servizi, a partire da una rassegna stampa. È una banalità, ma come fa un ragazzo che guadagna 100 euro e lavora a rimborso a leggere i giornali?”.

(nella foto, Cristina Pantaleoni, in prima piano, a destra)

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