di ALBERTO FERRIGOLO
“Il nostro è un mestiere diventato molto più difficile rispetto a quando ho iniziato io, nel 1980. È diverso perché l’accesso alla professione non è come prima. Per 4 anni ho fatto l’abusivo, poi il praticante. Oggi i giornalisti prima d’esser assunti difficilmente hanno un contratto che consenta loro d’esser praticanti. Spesso ottengono il praticantato d’ufficio, oppure hanno accesso alla professione attraverso le Scuole di giornalismo”.
Sessantatre anni, Guido D’Ubaldo è il Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, che al 4 febbraio 2025 conta 7.387 professionisti e 10.571 pubblicisti, secondo Ordine dopo la Lombardia per iscritti. Ci sono poi i sospesi, quelli senza Pec (224 professionisti, 462 pubblicisti), 178 praticanti in attesa dell’esame, “un numero consistente d’iscritti all’elenco speciale per chi dirige testate scientifiche”, 149 stranieri. Lui è professionista dal 1990 al Corriere dello Sport e dal 2010 è immerso nel mondo dell’Ordine, prima come Consigliere nazionale per due mandati, poi Segretario, infine al vertice del Lazio.
Non c’è un rapporto squilibrato tra pubblicisti e professionisti?
“Rispetto a altri Ordini, mi sembra che quello del Lazio sia abbastanza proporzionato, poco più di tremila individui di differenza. Una forbice molto ridotta. A Roma, i pubblicisti hanno un’attività intensa negli uffici stampa, in aziende. Dove c’è mercato. Il distinguo da fare, semmai, è tra pubblicisti che vivono di giornalismo e quelli che appartengono pure ad altri Ordini professionali facendo i pubblicisti con l’attività saggistica che attiene alla loro professione”.
Perché mestiere sempre più difficile?
“La crisi ha eroso i posti di lavoro, le redazioni si svuotano attraverso interventi governativi sempre mirati a dare contributi alle aziende per i prepensionamenti di giornalisti. Nessun governo, di qualsiasi orientamento, ha mai fatto un intervento di sistema per risolvere la crisi dell’editoria. Oggi per i giovani giornalisti è più difficile fare questo lavoro, soprattutto girando il mondo. Più spesso i neoassunti lavorano al desk, recuperano lanci d’agenzia, fanno un lavoro soprattutto di cucina”.
È corretto ammettere agli esami un gran numero di candidati d’ufficio?
“Credo che gli aspiranti giornalisti debbano avere la possibilità di sfruttare il loro tirocinio, quel che hanno fatto, poi magari il Direttore, per motivi economici o per rispondere all’editore, non li vuol riconoscere come praticanti…”.
Ti risulta che ci siano editori che chiedono soldi ai ragazzi per farli diventare pubblicisti?
“Di questa vicenda ci siamo occupati accendendo un faro su attività precarie e allarmanti, scoprendo situazioni in cui gli aspiranti pubblicisti pagavano un corso prima di presentare la pratica. Abbiamo adottato i provvedimenti del caso, abbiamo attivato il Collegio di disciplina, e grazie al lavoro di tutto il Consiglio, molto attento alla vicenda, siamo riusciti a porre un freno. Ora facciamo più attenzione, soprattutto sulle pratiche che sembrano più dubbie”.
Un bilancio di fine mandato, cose fatte su cui vi siete battuti?
“Ho sempre appartenuto a componenti riformiste, per cui ho sempre spinto per la riforma dell’Ordine, che ancora attendiamo arrivi in porto, e ho incontrato molti politici per perorare questa causa. Specie in qualità di Presidente dell’Ordine regionale, visto che ci sono molti deputati e senatori iscritti. In poco più di tre anni mi sono occupato personalmente della formazione professionale, offrendo ai colleghi corsi di qualità assolutamente gratuiti. Abbiamo organizzato oltre cento corsi l’anno, in presenza e online, a Roma e in tutto il Lazio. Ho cercato di attirare i colleghi a fare la formazione non tanto come espletamento di un obbligo di legge, ma nell’ambito di un percorso culturale. Abbiamo portato i colleghi nei musei, nelle biblioteche storiche di Roma, negli studi di Cinecittà. E al termine del corso è sempre prevista una visita. Con grande successo, perché siamo riusciti a ridurre sensibilmente il numero degli inadempienti. E poi ho attivato una formazione interreligiosa in collaborazione con le diocesi della regione, con la Moschea di Roma, il Museo della Shoah. Abbiamo messo due lapidi all’ingresso della nostra sede: per ricordare i giornalisti ebrei perseguitati sotto il fascismo e i giornalisti partigiani uccisi”.
Non c’è disparità sulle sanzioni tra chi fa la formazione e chi no?
“Il Consiglio di disciplina interviene secondo criteri e linee guida stabilite dal Consiglio nazionale su chi non ha fatto la formazione. Interveniamo principalmente sui colleghi che non l’hanno fatta per nulla, inadempienti totali, neppure iscritti alla piattaforma e che mostrano totale disinteresse per la materia. Noi dobbiamo far osservare un obbligo di legge, la Severino del 2013. Detto questo, sono convinto che dovremmo auspicare che venga definita quest’attività, come hanno fatto gli avvocati, forse una lobby più potente della nostra, che sono riusciti a ridurre il numero dei crediti. Dobbiamo venire incontro all’esigenza di rendere la formazione sempre più interessante e fare in modo che non sia una perdita di tempo e soprattutto far in modo che tutti si mettano in regola. Poi siamo disponibili a venire incontro a tutte le esigenze, anche con apposite esenzioni per motivi di salute, legittimi impedimenti, e altro”.
Cose che restano ancora da fare?
“È stata una consiliatura molto complicata. Abbiamo avuto una maggioranza composta con i pubblicisti, mentre tre professionisti hanno fatto opposizione, anche se il lavoro fatto è stato enorme. Sono convinto che, se proseguirò l’attività, visto che la mia componente all’unanimità mi ha chiesto di ricandidarmi, faremo altrettante cose. Così come abbiamo offerto solidarietà ai colleghi con comunicati, siamo scesi in piazza, abbiamo realizzato un murales in memoria di Ilaria Alpi nella scuola che ha frequentato da ragazza. Abbiamo poi fatto un sit-in, che ha avuto un grande successo, nei giorni precedenti la liberazione di Cecilia Sala, col gradimento della famiglia, nonostante le critiche per via della richiesta del silenzio stampa. Sit-in molto sobrio, una presenza significativa con oltre cento colleghi. Il nostro mondo vive un momento molto difficile e noi dobbiamo essere solidali con i colleghi più deboli e con i giovani che non trovano lavoro e anche con le persone, come Cecilia Sala, che hanno passato un momento difficile”.
Ma l’Ordine, in genere, fa qualcosa per aiutare i freelance e i colleghi più deboli? E contro le querele temerarie?
“Contro le querele noi nel Lazio affianchiamo e sosteniamo l’attività di Ossigeno per l’informazione, l’associazione presieduta da Alberto Spampinato, che mette a disposizione anche degli avvocati per i giornalisti. Il nostro Ordine regionale è un front desk della categoria. Spesso ricevo giornalisti e giovani giornalisti che non hanno né un lavoro né una prospettiva. Quel che posso fare è aiutarli, a livello personale, quando ho la possibilità. Però non abbiamo un ‘ufficio di collocamento’, è molto difficile intervenire come Ordine. Ma stiamo attenti a che i giornalisti vengano retribuiti in maniera adeguata”.
È sempre valida la legge del ’63 che. Ha ancora un ruolo l’Odg?
“La legge è assolutamente superata, vecchia di 60 anni, polverosa. Il mondo del giornalismo è cambiato in maniera radicale e continua a cambiare in tempi sempre più brevi. Anche l’esame professionale non è più al passo coi tempi, perché lo si fa ancora nella maniera tradizionale, come se dovesse essere valutato un candidato che andrà a lavorare in un giornale, mentre si deve rendere fruibile l’esame anche per candidati che svolgono l’attività professionale in modo diverso, attraverso le nuove specialità. Dobbiamo aprire ai webmaster e videomaker e ai comunicatori. La riforma dell’Ordine presentata al Governo ormai diversi mesi fa prevede anche la laurea obbligatoria per i giornalisti. In un momento come questo, in cui si riducono i posti di lavoro, dobbiamo avere e dimostrare sempre più qualità. È una riforma, con quella dell’Ordine, che auspichiamo da tempo e che nessun governo ha mai portato a termine”.
Come andrebbero riformati gli esami?
“La riforma dell’esame dovrebbe dare la possibilità ai candidati d’essere valutati in base all’attività giornalistica che svolgono. I giornalisti del web, i videomaker potrebbero fare l’esame diversamente da quelli che s’occupano di giornalismo tradizionale”.
Ma la proposta di riforma della legge è all’altezza dei nuovi compiti del giornalismo, è efficace?
“Siamo stati coinvolti e consultati come presidenti e, alla fine, l’abbiamo approvata. Certamente questa è una professione in itinere, che s’aggiorna quasi quotidianamente e forse anche la riforma potrebbe essere migliorata e resa ancora più attuale, ma credo che in qualche modo tenga conto di tutte le problematiche del momento”.
Non c’è troppa commistione tra giornalismo, altre forme di comunicazione e intrattenimento?
“Durante la pandemia abbiamo assistito a interminabili talk show dove tutti parlavano del Covid, fosse un ristoratore, uno sportivo o altro. Secondo me, nella comunicazione ci dovrebbe essere maggiore regolamentazione per far capire al telespettatore o al radioascoltatore chi è giornalista e chi no, altrimenti si confondono i piani. Credo che il giornalista debba sempre essere ben riconoscibile, specie oggi che dobbiamo accettare la sfida dell’AI. Credo che il lettore debba avere la possibilità di capire se un articolo è stato scritto da una mente umana o dall’AI oppure anche solo col suo ausilio”.
A questo proposito, cosa fa l’Ordine per contrastare queste situazioni? Con che strumenti?
“Sull’AI c’è una commissione varata dal sottosegretario all’editoria Barachini, di cui apprezzo il lavoro. Al momento facciamo molta formazione con i corsi che organizziamo. Penso che l’AI per noi giornalisti sia una sfida, specie per i più giovani. Come categoria dobbiamo essere in grado di governarla e non subirla, ma per governarla dobbiamo esser preparati a sfruttarla come strumento. Non si può sostituire il giornalista nelle redazioni o nella fattura d’un articolo”.
L’Ordine deve intervenire con più efficacia nell’arginare l’invadenza della pubblicità nell’informazione?
“Su questo punto siamo molto attenti. Abbiamo sanzionato in passato due colleghe illustri per aver fatto pubblicità in tv e interveniamo anche con segnalazioni. Vengono fatte direttamente dal Consiglio o su input esterni. Dovremmo forse fare un Osservatorio sulla pubblicità e monitorare il comportamento dei giornalisti. C’è tutto un mondo, quello delle radio private a Roma, dove ci sono giornalisti che leggono i dispacci pubblicitari in diretta. Ma come si fa a monitorare tutto ciò? Un Osservatorio potrebbe aiutare”.
Non pensi si sia persa un’occasione quando la redazione di Repubblica lo scorso autunno ha scioperato proprio sulla pubblicità e l’ingerenza del marketing in redazione?
“Ritengo che l’Ordine abbia fatto tutto quel che poteva fare. Abbiamo fatto un comunicato congiunto, firmato da me e dal Presidente del collegio di disciplina, e sono stato disponibile a dare la mia solidarietà ai colleghi. Ho fatto chiedere al Direttore di Repubblica se voleva che intervenissi per dar spazio a un suo intervento, dopo di che, con tutto il rispetto, i giornalisti di Repubblica hanno preferito fare la loro battaglia interna. Comunque l’Ordine è stato presente e vigile anche su questa vicenda”.
Non andrebbe data maggiore pubblicità ai pronunciamenti dei Consigli di disciplina?
“Siamo legati al rispetto di regole e principi della privacy, secondo cui possiamo dare la notizia soltanto dopo che è passata in giudicato. Siamo legati a regole che con la riforma dell’Ordine dovrebbero cambiare assolutamente, sono d’accordo”.
(nella foto, Guido D’Ubaldo)