(A.G.) A margine dei casi Prodi e Donzelli, qualche modesta considerazione. Sullo sfondo, in entrambi gli episodi, c’è un malcostume di fondo: la relazione troppo stretta, confidenziale, cameratesca a volte, fra politici e giornalisti che si occupano di politica.

Caso Prodi. Sabato 22 marzo, manifestazione “Libri come”, Auditorium di Roma. La giornalista Lavinia Orefici per “Quarta Repubblica” di Nicola Porro, Rete 4, aspetta l’ex Presidente del Consiglio e lo interroga sulle frasi sulla proprietà privata citate dal Manifesto di Ventotene da Giorgia Meloni, il 19 marzo alla Camera. Prodi si irrita, dice che il Maninfesto era stato scritto nel 1941 da perseguitati dal fascismo e chiede alla giornalista se abbia il senso della storia. In tutto questo, allunga una mano e prende una ciocca dei lunghi capelli di Orefici, la tira un po’.

*Il gesto di Prodi non è violento, si può definire paternalista.

*Di certo, non si fa.

*La giornalista non è sua figlia, né una sua conoscente, sta lavorando.

*Forse la domanda è provocatoria, la giornalista è inviata da Prodi proprio per cercare una reazione.

*Ma Prodi, uomo pubblico di lunghissima esperienza, doveva aspettarsi qualche domanda sul caso Ventotene-Meloni e nella risposta dimostra di non essere pronto.

*Non risponde -come avrebbe potuto- che il Manifesto non intendeva abolire la proprietà privata, ma discuterne “caso per caso” la legittimità. Nel Manifesto se ne parla a proposito delle riforme economiche da realizzare nel dopoguerra e le proposte sono articolate e motivate.

*Insomma, Prodi appare preso alla sprovvista, è un po’ vago nella risposta, si trova in imbarazzo e ne esce con un atteggiamento di superiorità immotivato.

*Poi, prima nega di aver tirato i capelli, dicendo di aver solamente toccato una spalla di Orefici, dopo dice che è stato scambiato un gesto di affetto per un’aggressione. E precisa: “Il gesto che ho compiuto appartiene a una mia gestualità familiare. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista. Penso sia un diritto di ciascuno rivendicare la propria storia e la propria onorabilità e non accettare la strumentalizzazione e la derisione dilaganti”.

Caso Donzelli. Martedì 25 marzo, Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia, incontra tre giornalisti entrando dall’ingresso laterale della Camera dei deputati, attorniato dal suo staff. I giornalisti si avvicinano per fare qualche domanda, ma Donzelli si rivolge a due dei tre: “Con onestà vi dico che finché c’è questo pezzo di merda non parlo con i giornalisti, con affetto’”. E aggiunge: “Non voglio mettermi a discutere. Non è il modo, ne parleremo in tribunale”. Il terzo giornalista, oggetto dell’attacco, è Giacomo Salvini, del Fatto Quotidiano, che un mese fa ha pubblicato “Fratelli di chat”, libro su messaggi estrapolati da una chat di parlamentari, ministri e dirigenti di Fratelli d’Italia dal 2018 al 2024.

*Prendiamo atto che il turpiloquio ha preso piede in Parlamento (vedi Licia Ronzulli il 20 marzo, presiedendo il Senato, che dice: “Non me ne frega un cazzo di quello che pensa Renzi”). E questo naturalmente non va bene, perché contribuisce al degrado delle istituzioni che rappresentano tutta la comunità.

*Donzelli può essere innervosito per l’intromissione nella privacy che il libro di Salvini rappresenta. Anche se dovrebbe prendersela con i delatori interni al suo partito.

*Un parlamentare, però, non è obbligato a parlare con i giornalisti. Semplicemente, i giornalisti fanno domande e se il politico non risponde, i giornalisti lo scrivono.

*Al fondo di tutto -come già detto- c’è un rapporto di esagerata vicinanza fra politici e giornalisti che porta a toccare, a dire parolacce, a pretendere e ad aggredire.

*Tutto dovrebbe tornare nell’ambito dei rispettivi ruoli. I politici fanno politica, prendono decisioni, emanano leggi e provvedimenti. I giornalisti fanno domande, studiano, raccontano, controllano, per conto dei cittadini. Senza troppe battute, braccia sottobraccio, caffè e aperitivi.

*Tenendo conto che i politici occupano posizioni di maggior potere rispetto ai giornalisti e quindi sono tenuti a non approfittarne.

Sui due casi sono intervenuti gli organismi di categoria: “I giornalisti esigono rispetto, è il momento di mettere fine una volta per tutte a comportamenti inaccettabili. Non si possono tirare i capelli ad una cronista. Non si possono lanciare insulti volgari e triviali o chiedere l’allontanamento di un cronista. Quelli recenti di Prodi e Donzelli non sono episodi isolati, ma il frutto di una tendenza a considerare i giornalisti come nemici e a non rispettare dignità e professione”. Lo ha affermato il Presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli.

“Una tiratina di capelli di qua, un pezzo di m… di là e all’informazione si continua a mancare di rispetto. Che sia la giornalista Lavinia Orefici di Quarta Repubblica o il collega Giacomo Salvini del Fatto Quotidiano, tutti i cronisti hanno diritto di poter esercitare il proprio mestiere in maniera libera e senza censure”, ha detto Alessandra Costante, Segretaria generale della Fnsi.
La Commissione pari opportunità della Fnsi nota che “i giornalisti danno sempre più fastidio ai politici e ai potenti e questo fastidio può degenerare in violenza verbale o fisica quando si tratta di una donna, magari giovane”.

(nella foto, l’episodio fra Romano Prodi e Lavinia Orefici)

1 commento

  1. Due episodi sgradevoli, senza dubbio. Ma il rispetto si guadagna anche con i comportamenti. E su questo
    Punto bisogna avere l’onestà intellettuale di segnalare che alcuni colleghi, con la loro fascinazione per il potere, con le loro interviste sdraiate, non contribuiscono all’autorevolezza di tutti.

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