di MICHELE MEZZA
Con curiosa coincidenza, proprio mentre l’Ordine dei giornalisti appare distratto dal voto per il rinnovo dei suoi vertici, Il Foglio, quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, si esibisce in un salto triplo digitale. Con grande fanfara è stato presentato il supplemento del giornale, intertamente realizzato con l’intelligenza artificiale, come spiega l’attuale direttore Claudio Cerasa. Una vera opera d’arte commenta il giorno dopo il fondatore con un fondo che illustra le meraviglie di un neofita dinanzi ai prodigi degli algoritmi.
In realtà si tratta di quanto da tempo era stato anticipato dai principali quotidiani internazionali: un uso diretto di dispositivi di intelligenza artificiale per elaborare, sulla base di domande mirate della redazione, articoli e schede editoriali. La novità del Foglio è quella di concentrare in una sola giornata le domande da fare ai meccanismi generativi, in base ai tempi di maggiore attualità, e pubblicare tutte insieme le risposte.
talento tecnologico
Il risultato, come ormai ci si aspetta, se ben preparato, è davvero di alto profilo. Sia per la forma, che per il contenuto. Il lavoro dell’intelligenza artificiale appare estremamente affine al lavoro tradizionale della redazione: stile, ritmo, taglio editoriale, e approccio critico sono sovrapponibili alla copia originale del giornale realizzata direttamente dalla redazione.
Un’ottima applicazione con un solo buco: non viene comunicato chi sia il talento tecnologico da ringraziare. In tutto il profluvio di store e meraviglia che Ferrara e Cerasa sciorinano nei loro commenti estasiati si dimenticano di dirci chi è il titolare del prodigio, di quale tipo di intelligenza artificiale si sono serviti.
procedure d’infrazione
Un dettaglio non da poco, la cui omissione potrebbe far scattare procedure di infrazione sia da parte dell’Ordine dei Giornalisti, ad elezioni concluse, sia da parte della stessa magistratura, a norma della legge sulla stampa.
Infatti l’intelligenza artificiale, a differenza di quanto mostrino di pensare i vertici del Foglio, non è una tecnica uniforme e neutra, come potrebbe essere l’energia elettrica. Siamo oggi dinanzi ad un’offerta varia e diversificata, dove ogni soluzione implica un risultato diverso, un modo di “ragionare”, diciamo così, assolutamente differente.
input differenti
Per questo è indispensabile, in base al vincolo di trasparenza che deve legare ogni redazione ai suoi lettori, denunciare pubblicamente a quale fornitore ci si è rivolti. Esattamente come si dichiara l’identità delle fonti che si interpellano per un articolo. Che differenza c’è? Noi sappiamo che Chat GPT, o Gemini di Google, o Claude di Anthropic, o ancora Gronk di Musk, sono modelli estremamente articolati e compositi in cui le reazioni agli input mutano radicalmente in base alla dieta di contenuti con cui è stato alimentato il sistema e alle modalità di profilazione dell’utente. Sono elementi questi che possono mutare sostanzialmente il risultato finale.
Secondariamente è altrettanto necessario dare indicazioni esplicite sul modo con cui il sistema è stato adattato al suo utilizzo, mediante quale processo di distillazione, ossia di addestramento, basato su applicazioni maggiori da cui si ricavano meccanismi più maneggevoli. Insomma bisogna, qualora si decide di appaltare un prodotto giornalistico a un meccanismo tecnologico, avere la piena consapevolezza di come quel sistema opera, in base a quale processo di addestramento si è formato il proprio senso comune, mediante il quale elabora i contenuti richiesti.
caporalato digitale
La direzione della testata ci ha solo assicurato che sono stati i giornalisti a porre le domande. E questo è davvero il minimo, vorrei anche vedere, in caso contrario sarebbe stato una specie di caporalato digitale, in cui un editore arruola un produttore, più o meno retribuito, per svolgere un lavoro surrettiziamente.
Ma non basta l’assicurazione che le domande siano state curate dalla redazione: bisogna che tutte le componenti della filiera giornale- dalla redazione, ai lettori-abbiano la piena padronanza del modo con cui quel sistema tecnologico è stato organizzato e orientato in ognuna delle diverse fasi di addestramento.
opera collettiva
Come dicevamo, l’intelligenza artificiale è un apparato complesso che produce senso comune, logica ed etica della comunicazione. Possiamo bearci solo della sua perfezione operativa?
Infine, e questa è proprio materia sindacale, la redazione dovrebbe dirci come è stato concertato il progetto: il fornitore avrà avuto un capitolato tecnico dalla direzione e dall’editore, in base al quale ha messo a punto il prodotto. Come è stato composto questo capitolato? Chi ha parlato con il fornitore e i professionisti che hanno materialmente predisposto il sistema? La redazione è stata soggetto anche nella fase di preparazione, così come la legge istitutiva dell’Ordine impone, definendo il giornale sempre un’opera collettiva?
ubbie burocratiche
Insomma Elon Musk direbbe che siamo alle solite ubbie burocratiche di chi vuole mettere le mutande al progresso. In realtà, bisogna spiegare a Musk, che qui in Europa, a differenza dal suo SudAfrica che gli diede i natali, e agli stati del sud americani, dove si trova a suo agio, le regole servono proprio per civilizzare il progresso. Ora dinanzi ad un salto del modo di fare giornalismo si tratta non si esorcizzare il futuro, e nemmeno di ingabbiare l’innovazione, ma anzi di accelerare l’evoluzione tecnologica, allargando la schiera dei protagonisti, e mettendo più capacità ed esperienze al lavoro.
L’esperimento del Foglio potrebbe aiutarci in questo individuando i buchi neri da illuminare e aumentando il livello di consapevolezza sia dei giornalisti che degli utenti, che sempre più sono co-produttori della macchina giornale.