di STEFANO BRUSADELLI

Forse siamo stati troppo frettolosi a decretare (o almeno paventare) la morte del giornalismo, prima sotto i colpi del web e poi dell’Intelligenza artificiale. In questo tempo pieno di novità così aspre e dirompenti, si fa invece sempre più evidente (almeno per chi scrive) un’altra e opposta percezione.

A me sembra che la nuova alleanza tra politica e tecnologia, che come ammoniva Emanuele Severino è del tutto indifferente all’idea di verità essendo preoccupata solo di accrescere la propria potenza, restituisce alla nostra fatica di “cercatori della verità“ un ruolo essenziale per la difesa della democrazia liberale. Che come è noto, si fonda sulla possibilità garantita al maggior numero possibile di cittadini di esprimere un voto libero e ben informato sull’operato del governo e sulle proposte della diverse forze in campo.

tutti cronisti

Da quando esiste la democrazia fondata sul voto popolare, il potere politico ha cercato via via di allearsi con la stampa, con la radio, infine con la televisione. Sia pure sottoposto ad assillanti seduzioni, il giornalismo professionale ha celebrato nel Ventesimo secolo la sua stagione d’oro. All’inizio del Ventunesimo secolo la diffusione della Rete, con l’iniziale illusione di una “verità democratica“ affidata ad un numero di voci troppo elevato per essere condizionato, ha fatto gridare alla morte del giornalismo come mestiere. Attraverso i social, i blog e le fotocamere degli smartphone, tutti erano diventati cronisti e opinionisti. La flessione nelle vendite dei giornali e lo spostamento degli investimenti pubblicitari sul web ha rafforzato tale persuasione.
Fino a che (e qui siamo alla storia recentissima) ci siamo accorti di due cose. La prima è che l’uso combinato della profilazione, dell’algoritmo, e ora anche dell’Intelligenza artificiale, è in grado di manipolare e orientare in modo molto preciso anche il flusso che sembrava anarchico e ingestibile dell’informazione on line. Con il che è svanito il miraggio di una Rete “pura“ contro un giornalismo “condizionato“.

grandi piattaforme

Il secondo fenomeno (di cui si sta avendo piena evidenza con la presidenza Trump) è che i nuovi leader politici preferiscono scegliersi come alleati i padroni delle grandi piattaforme del web. Non c’è da sorprendersi: nel mondo sono sei miliardi gli individui che usano internet, una cifra enormemente superiore a quella dei lettori di giornali e degli spettatori dei telegiornali. E inoltre sono (relativamente) pochi i padroni della Rete.

I termini dello scambio sono chiari. Il potere esecutivo garantisce deregulation e favori fiscali, le big tech ricambiano staccando assegni stellari per le campagne elettorali e algoritmi compiacenti per orientare in senso favorevole al leader amico i flussi informativi sul web.

strumento di governo

La deformazione della verità è diventata uno strumento di governo. Basti pensare alle affermazioni sulle quali Trump ha fondato alcune sue scelte politiche recenti. Ad esempio il maltrattamento riservato a Zelenskj in quanto secondo lui depositario “del 4 per cento del consenso in Patria“ (in realtà il 75 per cento secondo un sondaggio dell’Economist). O la pretesa di farsi rimborsare dall’Ucraina con l’accordo sulle terre rare aiuti già versati per circa 350 miliardi di dollari (In realtà 114 secondo l’istituto tedesco Kiel). O infine, caso più clamoroso di tutti, la modulazione dei dazi effettuata sulla base di numeri privi di ogni reale base contabile. Tutte false informazioni che sono però riuscite a diffondersi in un batter d’occhio in tutto il pianeta sulle ali della Rete, dove non a caso la pratica del “fact checking“ è in via di smantellamento.

sostenere la democrazia

Ecco dunque che il drammatico scollamento tra la politica e la verità rimette clamorosamente in gioco il ruolo di un’informazione professionale capace di controllare pazientemente i fatti e i dati, dare voce alle idee minoritarie, consentire il confronto civile tra opinioni diverse, criticare l’operato di un Capo anche quando sembra godere del più ampio favore popolare. Una lezione che già ci aveva ricordato Hanna Arendt dinanzi ai totalitarismi del secolo scorso, scrivendo che i regimi autoritari si affermano quando i cittadini non sono più in grado (o non ne hanno più interesse) a cogliere la distinzione tra la realtà e la finzione, tra il vero e il falso. Ecco perché si apre una nuova (ed entusiasmante) stagione per il nostro mestiere. Nonostante gli stipendi da fame, il crollo delle tirature e e i pessimi conti delle case editrici. Si apre soprattutto per i giovani che nonostante tutto hanno scelto di fare i giornalisti ma anche per gli editori, che debbono stare anche loro nell’arena come primi garanti dell’autonomia dei loro dipendenti.

Si può azzardare che oggi un’onesta e coraggiosa informazione abbia la stessa importanza che ebbe nella seconda metà del 19° secolo e nella prima parte del 20°. Allora servì a consolidare la democrazia. Oggi serve a farla sopravvivere.

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