(R.F.) Venerdì’ 20 settembre il “Friday for Future” ci ha mostrato un mare di giovani per le strade di 150 città di tutto il mondo. Le immagini da Berlino, dalla Thailandia, dal Sud America, da New York erano bellissime ed emozionanti. Il fotogiornalismo nella sua più alta espressione.
Basta guardare queste del NewYorker! La ragazza che alza la scritta “Why should we go to school when you won’t listen to the educate” con un sorriso da Gioconda, vale da sola un editoriale.
Il giornalismo fa così la sua parte con la fotografia.
E in Italia? Onestamente: è assai più difficile che questo accada. Non per mancanza di giornalisti fotografi. Repubblica, la Stampa, il Corriere, la Rai, hanno propri fotoreporter da mandare venerdì prossimo nelle piazze? Già negli anni Sessanta, in via Solferino, c’era un ufficio con fotografi. Ma erano rigorosamente “impiegati”. Quando mi sono accorto che c’erano 60 mila negativi in archivio, un patrimonio, spendibile, solo renderli fruibili è stata una impresa per chi si è reso conto che erano un sicuro valore di mercato. I migliori giornalisti fotografi italiani sono rimasti a terra per anni. O hanno trovato spazio per la propria eccellenza giornalistica nelle grandi agenzie internazionali (mai italiane).
D’altra parte per anni l’International Herald Tribune, stampata a Parigi, (in team tra New York Times e Washington Post) aveva in prima pagina ogni giorno una foto a quattro-cinque colonne (e sempre firmata) che valeva da sola un articolo e forse di più. Ho cercato invano per anni di far nascere nel più grande quotidiano italiano un photodesk tra le sezioni del giornale, o almeno un photoeditor.
Ora di fatto le cose sono un po’ cambiate. Spesso, come in Rai, ci sono volute lunghe vertenze giudiziarie per portare i videoperatori nella professione “ufficiale”. Con gli smartphone il discorso è più semplice. Ma senza la consapevolezza della nostra cecità, che viene da lontano, il famoso “giornalismo di qualità” su questo versante resta un sogno.