di LUCIANA BORSATTI 

Dopo l’arrivo dei talebani a Kabul il 15 agosto scorso, che ha messo in pericolo attivisti e collaboratori delle forze internazionali, anche centinaia di giornalisti sono fuggiti all’estero: temevano per la loro vita.

Per raccontare la situazione dei giornalisti afgani in patria e in esilio abbiamo intervistato Mohammad Reza Huwaida, fuggito oltre confine in un Paese che ha chiesto di non precisare. Fino ad allora aveva diretto due giornali, il Daily Outlook Afghanistan, in inglese, e Afghanistan Ma, in persiano e pastho. Ha risposto alle domande via e-mail. Dal suo racconto emerge il quadro di estrema difficoltà in cui si trovano sia i giornalisti rimasti nel Paese che quelli fuggiti all’estero. Molti, infatti, sono in Pakistan o in Iran, in condizioni marginali o semi-clandestine, dato che in entrambi i Paesi – che negli ultimi decenni hanno già ospitato circa tre milioni di afgani ciascuno – ottenere lo status di rifugiato è quasi un’utopia. Altri sono fuggiti in Tagikistan, Turchia, Uzbekistan, Emirati Arabi Uniti, Qatar e India, dove attendono di potersi trasferire in luoghi più sicuri. Anche chi è fuggito in qualche Paese vicino può continuare infatti a restare in pericolo di vita. Oppure, se è riuscito a trovare protezione internazionale in un Paese occidentale, può temere per la famiglia rimasta in patria.

non governativo

Racconta Reza Huwaida: “Daily Outlook Afghanistan è stato il primo quotidiano non governativo in lingua inglese fondato nel 2005. Afghanistan Ma è stato uno dei primi giornali non governativi, è uscito nel 2006 e ha proseguito senza interruzioni fino al 15 agosto 2021. Entrambi, indipendenti anche da partiti politici, tendenze religiose ed etniche, hanno cercato di estendere la libertà di espressione, i diritti umani, i diritti delle donne, i diritti delle minoranze religiose ed etniche, nonché di combattere l’estremismo religioso, il radicalismo islamico, la corruzione amministrativa, la discriminazione e il fanatismo. Nel periodo migliore, prima del 2014, vi lavoravano circa 200 persone. Negli ultimi giorni prima dell’arrivo dei talebani, erano circa ottanta tra scrittori, editori, giornalisti, impiegati, addetti alla stampa e alla distribuzione. Negli anni di attività, i talebani avevano chiesto più volte ai responsabili dei giornali di non prendere posizione contro di loro, di lavorare in coordinamento o di pubblicare le loro notizie, analisi e articoli. Ma noi abbiamo preso posizioni più forti contro i talebani e tutti i gruppi islamici estremisti in generale. Le minacce e le richieste dei talebani sono aumentate con la loro avanzata nelle province del Paese e soprattutto con la cattura delle grandi città come Herat. La redazione era vicino alla Habibie High School e al centro formativo e al comando della Zona Shamshad della Polizia. Secondo quanto ho sentito, il Mullah Abdul Ghani Baradar  (co-fondatore dei talebani e ora vice-premier, ndr) si sarebbe fermato lì il giorno del suo arrivo a Kabul. I talebani hanno sequestrato l’ufficio del giornale la prima notte e si sono impossessati di tutte le strutture. Pare che ora uno dei comandanti talebani viva nello stesso edificio”.

UCCISO NELL’ ATTENTATO

Cosa è accaduto ai tuoi colleghi? “Nei primi giorni dall’arrivo dei talebani molti sono fuggiti, alcuni in altre province del Paese, mentre altri hanno cambiato casa o si sono trasferiti da parenti e amici. Alireza Ahmadi, un giornalista che stava cercando di fuggire dall’aeroporto di Kabul, è stato ucciso in un’esplosione avvenuta all’aeroporto (l’attentato dell’Isis del 26 agosto, ndr), insieme al fratello. Alcuni sono ora rifugiati in America o in Francia, e molti vivono in Turchia, Pakistan o in Iran. Quanto alle loro condizioni, immaginate quali possano essere quelle di un giornalista immigrato che non ha documenti regolari, oppure il cui visto di ingresso è scaduto; che è fuggito riuscendo solo a salvarsi la vita, lasciando a casa tutto il suo denaro; che non ha il diritto di lavorare; che vive in un Paese il cui governo sostiene i talebani o dove questi ultimi possono entrare e circolare facilmente; o dove ci sono i talebani pakistani o altri gruppi religiosi estremisti come Lashkar-e-Taiba e Hizb ut-Tahrir”.

Cosa ci puoi dire della tua attuale condizione? “Vivo da mesi in questo Paese con la mia famiglia. Nella paura e nella peggiore situazione economica possibile. Poiché non ho accesso al mio conto bancario in Afghanistan e non riesco a trovare un lavoro, prendo in prestito dai miei amici. Ho inviato e-mail e chiamato molte ambasciate e organizzazioni di supporto ai giornalisti, ma non ho ancora ricevuto risposte positive”.

“NON SONO CAMBIATI”

Ci sono speranze per i media e la libertà di stampa nell’Afghanistan dei talebani? “Il governo talebano è un governo ideologico con un’interpretazione rigida e pietrificata dell’Islam. Anche gruppi terroristici grandi e piccoli come la rete Haqqani e Hizb ut-Tahrir hanno un posto speciale nella leadership e nel corpo dei talebani. In aggiunta, il loro legame con gruppi terroristici ed estremisti come Al-Qaeda, talebani pakistani, jihadisti arabi e altri li ha resi incapaci di qualunque cambiamento nelle loro opinioni e visioni del mondo. Le libertà individuali e civili, la libertà di opinione e le minoranze hanno una posizione debole. Tutti gli affari del Paese sono nelle mani di diversi mullah, anziani tribali, comandanti militari e responsabili del massacro di persone innocenti, e al vertice c’è il loro Amir al-Mu’minin (comandante dei credenti, ndr). La verità è che questa volta l’ascesa al potere dei talebani è stata il risultato di un complesso gioco politico e di intelligence, non si è raggiunta sul campo di battaglia. In questo gioco, i talebani hanno finto di essere cambiati, ma in realtà non c’è stato alcun cambiamento nel loro modo di agire e pensare rispetto agli anni Novanta. Anche se si impegnano per la libertà politica e quella di fede, religione ed espressione e per i diritti umani, lo fanno per ottenere legittimità e  aiuti internazionali, vedere i capitali scongelati (quelli della Banca Centrale afgana sono bloccati negli Usa e in Europa, ndr), sfuggire alle pressioni politiche ed economiche. Ma in realtà non rispetteranno mai questi impegni e continueranno a fare pressione su giornalisti e media”.

                 5.000 senza lavoro, 4 su 5 donne

Secondo un articolo sull’Hasht-e Subh Daily https://bit.ly/3ObDlgf, quotidiano molto popolare in Afghanistan, il Paese è ormai diventato il più pericoloso per i giornalisti. Oltre 60 giornalisti erano stati arrestati, minacciati, torturati e imprigionati dalle agenzie di intelligence e sicurezza talebane negli otto mesi successivi al 15 agosto. Dopo che più di cento avevano perso la vita (per la maggior parte per mano dei talebani) nel ventennio precedente, mentre agivano per la difficile conquista della libertà di stampa nel Paese.

Nell’articolo, pubblicato lo scorso 15 maggio, si parla di oltre 200 organi di informazione che hanno chiuso dopo il 15 agosto, mentre oltre 6.000 giornalisti hanno perso le loro funzioni. Di questi, l’80% sono disoccupati e fra questi quattro su cinque sono donne. Per quanti sono rimasti in patria, i talebani stanno cercando di istituzionalizzare la censura con minacce e torture, facendo pressioni sui giornali per trasformarli in strumenti di propaganda. Centinaia di giornalisti e dirigenti dei media sono stati costretti a lasciare l’Afghanistan per salvarsi la vita. Nello stesso articolo il pluri-premiato giornalista investigativo Ali Akbar Rostami https://bit.ly/3ySOP2O, a nome suo e di altri colleghi in esilio, fa appello alle organizzazioni dei giornalisti e ai governi a continuare i loro sforzi per soccorrere quanti sono in  pericolo e dare un futuro a chi si è rifugiato nei Paesi vicini. Uno sforzo ulteriormente rallentato, sottolinea, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Poiché i media internazionali hanno molti inviati in Ucraina, osserva Rostami, restano oscurate “le atrocità umane, le uccisioni mirate di ex agenti delle forze di sicurezza e le torture di giornalisti da parte dei talebani. La comunità dei media dei giornalisti afgani in esilio si aspetta dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da altri paesi donatori che garanzie sulla libertà di espressione e la libera attività dei media sia una delle cinque condizioni fondamentali” di ogni negoziato con i talebani. 

Secondo un rapporto congiunto dell’Afghanistan Journalist Center e della Free Journalists Association dell’Afghanistan https://bit.ly/3IMIbzp diffuso nel marzo 2022, il numero degli episodi di violenza contro media e giornalisti, quattro dei quali uccisi, è raddoppiato dopo l’arrivo dei talebani.

 

(nella foto, Mohammad Reza Huwaida)

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