di VITTORIO ROIDI
La consultazione è alle spalle. Risultati a parte, tutti dicono che è stata una delle più brutte della nostra storia recente. Ciascuno faccia bilanci ed esami di coscienza, anche i giornalisti. La battaglia elettorale è stata seguita passo per passo dai mezzi di informazione. Ma quali e quanti hanno dato notizie utili, hanno veramente aiutato gli indecisi? Quanti elettori sono andati al seggio con le idee chiare, quanti diciottenni conoscevano i partiti, i candidati e hanno potuto scegliere con cognizione di causa? Chi volesse giudicare il comportamento della carta stampata, della tv, della radio, delle testate on line potrebbe utilizzare almeno quattro aggettivi: apprezzabile, vecchio, equilibrato, fazioso. Limitiamoci a questi anche per il limite di una valutazione che avrebbe bisogno di essere condotta con ben altri strumenti scientifici.
Apprezzabile. Si è assistito a uno sforzo professionale non indifferente. Redazioni in molti casi ridotte all’osso hanno sfornato pagine, articoli, rubriche, interviste e analisi corposi. Non si sono risparmiati. Dopo il Covid e la guerra in Ucraina i professionisti dell’informazione hanno affrontato un altro compito oneroso. Ma cosa hanno chiesto loro i direttori e i capidesk? Tanta quantità ma quali contenuti?
Vecchio. Aggettivo troppo severo? Molti materiali sono apparsi in tutto simili a quelli prodotti in passato. Come se il mondo non fosse cambiato, come se non sapessimo che attraverso Internet gli uomini politici fanno da soli, parlano, promettono, espongono programmi. Dunque, a cosa servivano valanghe di interviste e di presentazioni? Sono state utili ai candidati o ai lettori?
Sarebbe ingiusto dire che nessuno abbia provato a fare di più. C’è chi i candidati li ha solo fatti parlare, ma anche chi ha scavato, ha cercato di illustrare i curriculum: cosa avevano studiato e realizzato in precedenza, quali esperienze e capacità avevano dimostrato. Ma in generale, ad esempio i quotidiani e la tv, hanno prodotto “messaggi” uguali a quelli diffusi nel 2008 e nelle consultazioni precedenti.
Equilibrato. La par condicio è apparsa un’araba fenice nota solo al legislatore e ben poco al cittadino. La libertà e l’indipendenza garantite ai giornalisti dalla Costituzione hanno consentito (per fortuna) ogni genere di comportamento e, come in passato, accanto ad organi di informazione che hanno tenuto un atteggiamento più equilibrato si è assistito ad ogni forma di squilibrio, a parte le “tribune” (come si chiamavano una volta). Pagine intere dedicate ad un candidato e neppure una riga per altri.
L’equilibrio non è un requisito molto cercato e raggiunto dai nostri media professionali, ma qualcuno ci prova, mentre altre testate, senza dirlo chiaramente ai lettori, mostrano una propensione evidente (i cittadini sono più maturi e avveduti di una volta!) per questa o quella forza politica. Le responsabilità, etica e giuridica, sono naturalmente dei singoli. Detto che la neutralità non esiste, neppure nei giornali che si dedicano più a fare cronaca che commento, il racconto dei fatti dovrebbe avere una più chiara oggettività, purché il narratore eviti i troppi aggettivi e rinunci ai propri giudizi, vizietto che i giornalisti nostrani mostrano sempre più spesso.
Fazioso. Le faziosità poi sono un po’ dappertutto: non possono essere sanzionate dai Consigli di disciplina (tutti liberi di essere cattivi professionisti!), ma i direttori avrebbero tutto il diritto e il dovere di rilevarle (forse anche gli editori) e di pretendere comportamenti più corretti. La libertà di critica è un’altra cosa. Sempre il fatto distinto dall’opinione.
Questioni delle quali nessuno si occupa, che hanno una conseguenza diretta sulle vendite della carta stampata, sugli ascolti di tg e gr, sulla lettura delle testate on line. Non è particolare che riguarda però solo i bilanci e magari il declino e la scomparsa delle redazioni, ma interessa la vita e la forza della democrazia. Ormai lo dicono tutti i sociologi e i politologi: la libertà dei giornalisti, ma anche la qualità delle notizie che essi diffondono, sono in stretto rapporto con la coscienza e la cultura democratica dei cittadini.
I nuovi media che apporto hanno dato? Sul serio Berlusconi ha fatto bene ad esibirsi su Tik Tok? Gli studiosi fra qualche anno spiegheranno se i nuovi strumenti abbiano creato governanti migliori o peggiori. Ma intanto non c’è dubbio che i vecchi mezzi si sono più che altro limitati a mettere in primo piano questo o quel candidato, quella che Mario Morcellini, proprio su Professione Reporter ha definito “vetrinizzazione anziché mediazione”. Un giornalismo serio dovrebbe cominciare, direttori in testa, ad esaminare l’accaduto per capire anzitutto se ci può essere un nesso fra ciò che hanno diffuso e l’altissimo numero di elettori che al seggio il 25 settembre non ci sono andati. Ai tempi di Andreotti, di Berlinguer, di Moro, di Spadolini, perché l’astensionismo era più basso? Perché i giovani si informavano meglio? Perché gli anziani non erano ancora disamorati amareggiati? Perché gli operai credevano ancora nei partiti e nei sindacati? O i mass in questi mesi media hanno sbagliato?
I nostri giornalisti oggi commentano molto, danno giudizi anche sferzanti. Qualcuno potrebbe dire: il giornalismo ha trattato male i politici, li ha messi nell’angolo, per questo gli elettori hanno voltato loro le spalle, Ci sarà tempo per ampliare la riflessione. Ai giovani i buoni maestri insegnano a dubitare, sempre, durante il lavoro volto a cercare la verità. Forse nei praticanti che intendono occuparsi di politica occorrerebbe insinuare un dubbio più sottile: se quel partito o quel candidato hanno vinto o perso, affari loro. Ma io, pensandoci bene, ho lavorato per loro o per i cittadini?