La solidarietà e l’adesione dei collaboratori è gradita, ma non obbligatoria. Lo scrive l’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica sul giornale del 1° novembre. Il tema è lo sciopero delle firme, deciso venerdì scorso per protestare contro la Direzione di Maurizio Molinari “per i contenuti e la forma con cui è stata comunicata la nuova riorganizzazione del lavoro”.

Da tre giorni la Repubblica esce senza le firme dei redattori. L’effetto è forte. I lettori dei giornali sono abituati a cercare chi abbia scritto un articolo prima di leggerlo, mentre lo leggono o alla fine. Si tratta di un elemento di conoscenza in più, anche se ci sono autorevolissimi media (The Economist, per esempio) che pubblicano senza firme).

rubrica tv anonima

Da sabato 30 ottobre, su la Repubblica le firme non ci sono e non si sa chi abbia scritto i pezzi. Anche quando si tratta di esclusive o inchieste elaborate. Ma in prima pagina e nelle pagine della Cultura e qua e là le firme ci sono. Firme illustri, dei collaboratori. Sul numero del 1° novembre Michele Serra, Concita de Gregorio, Francesco Merlo, Giancarlo De Cataldo, Roberto Burioni, Antonio Monda, Enrico Franceschini (2 volte), Benedetta Craveri, Carlo Bastasin, Stefano Folli, Daniele Mastrogiacomo, Michele Valensise. Solidale invece con la protesta Antonio Dipollina, che scrive ma non firma la sua prestigiosa rubrica sulle tv, “Multischermo”. E Mimmo Ferretti che non firma la sua rubrica in Cronaca di Roma, “Calcio & Pepe”.

“Lo sciopero -si legge su Repubblica del 1° novembre- verrà sospeso non appena verranno riprese le corrette relazioni sindacali. Lo sciopero delle firme non coinvolge direttamente i collaboratori, la cui solidarietà e adesione è comunque gradita, e andrà avanti fino a che non ci saranno i chiarimenti richiesti”. I collaboratori, in grandissima maggioranza non raccolgono l’appello.

la firma dell’assemblea

Il comunicato sul giornale è firmato “L’assemblea di Repubblica”. Formula anomala, perché di solito i messaggi sindacali pubblicati provengono dal Comitato di redazione. Ma il Cdr si è dimesso il 20 ottobre, quando l’assemblea ha votato una mozione diversa, più dura, rispetto a quella presentata dai rappresentanti sindacali.

Il 31 ottobre è stato eletto il nuovo Cdr, che è formato da Matteo Pucciarelli (175 voti), Alessandra Ziniti (134), Luca Pagni (132), Zita Dazzi (166) e Francesca Savino (62). I primi tre lavorano nella redazione centrale di Roma, gli altri due nelle redazioni locali. Fra redazione centrale e redazioni locali gli aventi diritto al voto erano 325. Nella redazione centrale ha votato il 76,6 per cento degli aventi diritto, nelle locali il 69,2.

Due voti sono stati dati al vicedirettore Carlo Bonini e due voti alla vicedirettrice Stefania Aloia, 1 voto al vicedirettore Gianluca Di Feo.

primo messaggio

Nel primo messaggio alla redazione il nuovo Cdr ha ringraziato “le collaboratrici e i collaboratori, soprattutto precari, che in questi giorni hanno mostrato solidarietà con la redazione aderendo allo sciopero delle firme”. E ha inoltrato la mail inviata a prima comunicazione: “Abbiamo letto con interesse l’intervista a Maurizio Molinari che ha aperto il vostro ultimo numero, in edicola venerdì. L’assemblea di Repubblica si è già espressa su quanto dichiarato dal direttore votando a stragrande maggioranza per lo sciopero immediato. Ma come nuova rappresentanza sindacale vogliamo sottoporvi due contestazioni”.

La prima: “In una vostra domanda a Molinari, esprimete un giudizio ingeneroso nei confronti di un intero settore di Repubblica, definito con leggerezza ‘moscio’, non si sa bene da chi e perché. Ci attendiamo quindi un approfondimento ragionato in tal senso. Da parte nostra siamo disponibili a dimostrare invece che il settore economico di Repubblica giorno dopo giorno lavora con qualità e dedizione, portando a casa ottimi risultati”.

“Parliamo di cose serie”

Seconda contestazione: “C’è un inciso presente nel preambolo di quella intervista che consideriamo molto grave, specialmente in una testata che si occupa di problemi e futuro dell’informazione. Quel ‘ma parliamo di cose serie’, dopo aver dato conto dei tre giorni di assemblea dei giornalisti di Repubblica, facendo quindi intendere che una discussione che ha coinvolto decine e decine di colleghe e colleghi sia stata evidentemente un gioco, oppure una burla. I giornali sono dei presidi di democrazia e lo sono ancor di più se al loro interno c’è lo spazio e la voglia di appassionarsi e partecipare; anche di contestare direzioni ed editori, se necessario. Ridicolizzare quindi dei processi assembleari, che mostrano invece la vitalità e l’indipendenza di un corpo redazionale colpito da anni di tagli, condizioni di lavoro sempre più difficili ed esternalizzazioni, rappresenta la peggior miopia possibile se si ha a cuore il giornalismo e quindi anche la nostra fragile democrazia”.

Professione Reporter

(nella foto, la Repubblica, prima pagina, 1° novembre)

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