Il Washington Post all’attacco di Amazon. Un articolo accusa la mega azienda di Jeff Bezos di orientare gli acquisti dei clienti, di non dichiarare i prodotti che sono spinti da pubblicità a pagamento. “Amazon -si legge nel pezzo- sta diventando un pacchiano centro commerciale”.
Che c’è di strano? Che Bezos, quarto uomo più ricco al mondo è il proprietario -dall’ottobre 2013- del Washington Post. Questo articolo, pubblicato il 26 novembre- quindi è un esempio di grande indipendenza da parte della redazione del quotidiano, che con l’inchiesta Watergate costrinse il presidente Nixon a dimettersi, agosto 1974.
stesso occhio critico
Il titolo è: “Non è la tua immaginazione: lo shopping su Amazon è peggiorato”. Sottotitolo: “Tutto su Amazon sta diventando un annuncio pubblicitario”. L’articolo è firmato da Geoffrey A. Flower, nella serie “Noi utenti”. A un certo punto dichiara: “Jeff Bezos possiede il Washington Post, ma io esamino tutta la tecnologia con lo stesso occhio critico”.
Flower inizia così: “Amazon è davvero un buon posto per lo shopping. Quando cercate però potete non capire che la maggior parte di ciò che vedete è pubblicità. Amazon sta tradendo la vostra fiducia”. Quindi, fa l’esempio delle cucce per i gatti. Se si cercano “cat beds”, nella prima schermata -scrive Flower- ci sono tre prodotti offerti dalla pubblicità, due prodotti sponsorizzati e un prodotto direttamente di Amazon; nelle prime cinque schermate il 50 per cento dei prodotti sono pubblicità o prodotti Amazon.
imbattibile in velocità
“Amazon -continua il pezzo- è imbattibile per il servizio, per la velocità delle consegne, per la facilità del rifiuto della consegna. Ma per la ricerca dei prodotti sta diventando un pacchiano centro commerciale, pieno di insegne al neon che ti indirizzano in tutte le direzioni sbagliate. Amazon fornisce informazioni sponsorizzate che possono offuscare le nostre scelte”.
Flower parla di “shill results” delle ricerche, risultati da imbonitori. E spiega che si tratta di un’involuzione: prese come esempio le schermate del 2015 per acquistare apparecchi tv, non si trova nessuna proposta con pubblicità sottostante. E d’altronde nello scorso anno Amazon ha incassato 31 miliardi di dollari in pubblicità. Naturalmente, nel rispetto delle regole del giornalismo, Flower ha sentito anche il portavoce di Amazon Patrick Graham, che, fra l’altro, dice: “Gli interessi degli inserzionisti e quelli dei clienti sono alleati. La pubblicità funziona solo se la rendiamo utile per i clienti: quando creiamo esperienze fantastiche per i clienti otteniamo risultati migliori per i marchi”.
tre proposte
In conclusione, Flower fra tre proposte per difendersi dalle pubblicità mascherate da proposte. La prima, rivolta ai clienti: comprare su Amazon quando si è già scelto cosa comprare. Seconda e terza, rivolte ad Amazon: non superare il 50 per cento di offerte pubblicitarie per ciascuna schermata e indicare chiaramente quando si tratta di proposte pubblicitarie.
Va segnalato che questo articolo del Washington Post nell’edizione online presenta anche innovazioni grafiche molto interessanti. Quando vengono mostrate le schermate dei “cat beds” le frasi dell’articolo scorrono, una alla volta sulle immagini, in modo che queste ultime restino sempre in vista. Su ciascuna schermata le proposte pubblicitarie si colorano di arancione in modo di essere subito riconoscibili (come Amazon non permette). Segni dell’evoluzione della leggibilità sempre più agevole, verso cui tende il giornalismo moderno.
Professione Reporter
(nella foto, l’immagine in testa all’articolo del Washington Post)