di VITTORIO ROIDI

Forse avremo un giornalismo “Arlecchino”, tutto italiano. Lo vuole inaugurare l’Ordine nazionale, l’organismo che per legge rappresenta la categoria, secondo il quale a partire da gennaio si potrebbe diventare professionisti in venti modi diversi, considerato che tante sono le regioni sul territorio. Dovrebbero essere i Consigli regionali a stabilire con quale percorso e studiando cosa si potrà diventare professionisti. Dalla Valle d’Aosta alla Puglia, dalla Lombardia alla Campania, quasi fosse il vestito della simpatica maschera napoletana, pur non avendo svolto il praticantato presso una redazione, colui o colei che già fa il mestiere potrebbe diventare titolare di un tesserino professionale.

L’Ordine lo ha deciso attraverso un’interpretazione  ”larga”  dell’articolo 34 della legge istitutiva del ’63. Il Ministero della Giustizia, che sorveglia tutte le professioni, però ha risposto che “non si può fare”, ha detto che non spetta all’Ordine cambiare un articolo di legge. Dunque fermi tutti, strada sbarrata.

fotografi e videomaker

Che il giornalismo avesse bisogno di una riforma lo avevano detto in tanti negli ultimi tempi. L’idea portata avanti dal presidente dell’Odg Carlo Bartoli non era bislacca. Bisognava prendere atto che ormai ci sono tante persone che informano, usando strumenti una volta inesistenti. Fotografi, videomaker, tecnici, che già collaborano al coro delle notizie, operatori preziosi, che tuttavia vengono tenuti ai margini, esclusi dal perimetro degli addetti ai lavori. Bisognava innovare. L’Ordine aveva già fatto uso del “ricongiungimento” per alcuni pubblicisti che si trovavano all’interno dell’organizzazione giornalistica e in alcuni casi li aveva ammessi a sostenere l’esame di stato, pur in mancanza di un praticantato vero e proprio. Un’applicazione di questa modalità su larga scala è tuttavia curiosa, soprattutto se poi se ne affida la valutazione agli Ordini regionali. Molto strano, considerati quali e quanti controlli dall’alto in questi anni sono stati previsti per le scuole di giornalismo, che pure per il praticantato “in presenza obbligatoria” dispongono di apposite testate e di direttori responsabili. Ciò nella trentennale convinzione che la formazione dei professionisti dovesse essere rigidamente regolamentata e controllata dall’Ordine nazionale. Oggi invece sembra che un tutor scelto dal presidente regionale possa bastare per guidare un percorso realmente professionalizzante.

ingegneri fiorentini

Le osservazioni, per un’analisi in profondità, sarebbero tante. Limitiamoci a due soltanto. La prima è la sottovalutazione dell’importanza della redazione. E’ lì che secondo la legge il giovane giornalista deve crescere durante i 18 mesi di addestramento, cioè in un gruppo, non affidato ad un sia pur bravo tutor. Ciò per garantire confronti continui, pratica in diversi Servizi del giornale, collegialità, etica del lavoro ecc. Tutte cose che non contano più? Non è solo del direttore di testata cui si decide di fare a meno. Ma dell’organizzazione originaria del giornalismo. Come se un giovane potesse imparare a fare il medico nello studio di un professionista, anziché in un ospedale o in una clinica universitaria. Come se fosse pensabile un ingegnere fiorentino accanto a uno sardo o calabrese o piemontese. Oppure un avvocato o un architetto. Non siamo all’interno delle botteghe di un artigiano, di un pittore, di uno scultore. Il Cinquecento è lontano. Raffaello e Michelangelo qui non c’entrano. Per legge, nel 2023, neppure a Indro Montanelli o a Eugenio Scalfari potrebbe essere affidato l’addestramento un giovane.

il rispetto dei cittadini

La seconda osservazione riguarda la credibilità. Per battere le fake news, per sconfiggere il ciarpame che straripa in un mondo conquistato dai link e dai tweet, nel quale sembra importante solo essere liberi e non punibili, da tempo qualcuno ha cominciato a scrivere e a dire (fra i primi Italia, Stefano Rodotà) che solo un’informazione professionale di qualità può salvare il giornalismo. Questa è la condizione per ottenere rispetto e interesse da parte dei cittadini. Se è vero, qualcuno pensa che un professionismo “regionale” potrebbe far aumentare o calare nei cittadini la credibilità della categoria? 

Aspettiamo che nelle prossime settimane Ordine e Ministero si incontrino. Ma speriamo che imbocchino strade credibili. E’ importante dare un ruolo e una tessera a tanti “colleghi” (perché ad esempio non passare attraverso la porta del pubblicismo, che già consegna l’altra tessera prevista dalla legge?). Ma non si può pensare di far indossare al professionista l’abito di Arlecchino, che gli toglierebbe altra forza e credibilità, in un paese in cui i giornalisti vengono spesso malmenati, aggrediti e sbeffeggiati.

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