di STEFANO BRUSADELLI
Secondo un rapporto presentato alla fine dello scorso anno dalla multinazionale di consulenza strategica Roland Berger, la professione giornalistica è tra quelle più esposte al rischio di essere danneggiata dai progressi dell’AI generativa, ossia l’intelligenza artificiale capace di produrre testi.
La profezia, peraltro avanzata da più parti, sta già trovando le sue prime conferme. In due importanti quotidiani tedeschi, Bild e Die Welt, sono stati decisi tagli di organico nei settori controllo testi, impaginazione e scelta delle foto, dove l’AI può svolgere in modo più economico le funzioni finora assegnate a giornalisti. Nello scorso maggio News Guard ha comunicato che erano già arrivati a 125 i siti che forniscono notizie senza l’ausilio di esseri umani. Nel telegiornale di Kuwait News la conduzione è stata affidata ad una avatar di nome Fedha, e analoghi esperimenti sono stati effettuati in Cina dal gruppo multimediale di stato cinese Xinhua. Inoltre, ed è quel che più preoccupa, numerosi esperimenti compiuti chiedendo ad una chatbot la redazione di articoli hanno prodotto risultati soddisfacenti, in molti casi migliori di quelli che avrebbe conseguito un redattore svogliato e poco documentato.
giustificata angoscia
Già messa a dura prova dalla liberalizzazione dell’informazione frutto dell’uso combinato di smartphone e social, la categoria giornalistica (nella sola Italia 35 mila tra donne e uomini), si interroga sul proprio futuro. L’angoscia è giustificata, e un analogo sentimento debbono avere provato nel 1908 i fabbricanti di carrozze dinanzi alla costruzione della Ford T, il primo modello di auto venduto a prezzi accessibili. Ma non è detto, o almeno non è ancora detto, che la potenza dell’AI sia destinata a fare al Quarto Potere più danni di quanto possa arrecarne ad altri comparti. E non solo perché paiono per ora inattaccabili i fronti sui quali la funzione umana resta insostituibile, come il rapporto con le fonti o la fantasia nella scrittura.
fatti non ancora noti
Invocando il motto di Sant’Agostino “ex malo bonum“, l’avvento dell’AI potrebbe addirittura finire col rianimare un mestiere che sta dando, e non solo in Italia, vistosi segni di appannamento. Se si parla di informazione, esiste infatti un solo ambito precluso all’AI. E’ quello dei fatti che non sono ancora noti. Una chatbox potrà scrivere accurate analisi sulla base di elementi che già possiede, ma difficilmente potrà penetrare nella mente e nelle intenzioni degli esseri umani, o rivelare le trame in atto nei luoghi opachi del potere. In altre parole, l’AI (almeno per ora) non è in grado di fare scoop.
Il giornalismo d’inchiesta fu alla base delle vicende più brillanti nella storia della stampa italiana. Basti pensare a Il Giorno, L’Ora, Panorama, l’Espresso. Testate capaci di costruire inchieste sorprendenti, ben documentate, pazienti, senza riguardi nei confronti della proprietà e degli investitori pubblicitari. Tornare a scavare nella realtà e smettere di rimasticare i temi già cucinati dalla Rete e dalla televisione speziandoli con l’opinionismo, diventerà per il giornalismo l’unica formula possibile per una onorevole sopravvivenza. Grandi giacimenti di notizie sono, tuttora, scarsamente o per nulla esplorati. Anche nel nostro Paese. Penso alla straordinaria vitalità e capacità di innovazione della provincia; agli opachi mondi dei gabinetti e degli uffici legislativi ministeriali, dove ormai si fabbrica la legislazione sottratta alle aule parlamentari e si esercitano i giochi lobbistici; ai saperi che si sviluppano nelle università. Certo, come per i giacimenti offshore, lo sfruttamento sarà un tantino più faticoso, e magari persino rischioso. Ma se questo accadrà, per il giornalismo la concorrenza dell’AI potrebbe rivelarsi, paradossalmente, persino un aiuto della provvidenza.