(di anna langone)

E’ la “Carta” che 76 anni fa cambiò la storia dell’umanità, ma si deve alla tenacia di 8 donne se la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, redatta in oltre 500 lingue e documento più tradotto del mondo, abbia sancito i diritti delle persone, e non degli uomini, come volevano i rappresentanti maschi delle 58 nazioni convocate all’Onu nell’Assemblea Generale. Obiettivo: fissare regole di convivenza da cementare in tutti gli esseri umani e che all’indomani della seconda guerra mondiale bisognava rifondare. Proprio come andrebbe fatto oggi, con conflitti aperti ovunque: lo evidenzia Enrica Simonetti, giornalista, caposervizio de La Gazzetta del Mezzogiorno e scrittrice, nella prefazione al suo ultimo libro “Le donne della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” (Manni). 

milioni di chilometri

La presenza di quelle signore fra tavoli e pavimenti lucidi dell’Onu a New York è storia, ma non basta a far luce su quanto siano state determinanti per i 30 articoli della Dichiarazione, paletti morali che nessuno avrebbe dovuto rimuovere. Furono loro a dar voce al difficile lavoro svolto all’epoca sul terreno dei diritti da movimenti e associazioni di cittadini, fra i quali il Rotary International. Pagina dopo pagina sembra di vederle, politiche, madri, mogli, professioniste, attiviste, dall’americanissima Eleanor Roosevelt alle indiane Hansa Jivraj Mehta e Lakshmi Menon, dalla francese Marie-Hélène Lefaucheux alla dominicana Minerva Bernardino, con Begum Shaista Ikramullah del Pakistan, Bodil Begtrup della Danimarca, Evdokia Uralova dalla Bielorussia. Macinarono milioni di chilometri per portare nella Dichiarazione temi come lavoro, questioni di genere, infanzia, povertà, linguaggio sessista, diritti della donna nel matrimonio. 

paladina delle minoranze

Anna Eleanor Roosvelt, First Lady dal 1933 al 1945 del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt e sua vedova dal 1947, venne eletta presidente della Commissione Diritti Umani dal Consiglio delle Nazioni perché anticonformista, progressista, paladina delle minoranze, nota per scelte spesso imbarazzanti per la Casa Bianca, tanto da finire sotto la lente dell’Fbi. Lady di ferro, madre di sei figli, sostenne l’uomo del New Deal, colpito presto dalla poliomielite, nelle quattro elezioni consecutive. Non a caso proprio lei, in una foto iconica, tiene fra le mani una grande copia cartacea della Dichiarazione. 

Coraggio e determinazione non mancarono a tutte le madri della Carta. Hansa Jivraj Mehta, figlia dell’indipendenza conquistata dall’India nel 1947, scrittrice, filosofa, femminista e vicina a Ghandi, arriva cinquantenne all’Onu, con il bindi, la goccia disegnata sulla fronte e la voglia di cambiare il mondo. Comincia dall’articolo 1 della Dichiarazione: grazie a lei, da “Tutti gli uomini sono nati liberi e uguali” diventa “Tutti gli esseri umani…”. Non è da meno Minerva Bernardino, la dominicana di Park Avenue, orfana abbracciata dalla Grande Mela: con altre connazionali suffragette ottiene il voto per le donne dell’isola caraibica nel 1942 e nelle riunioni dei comitati statunitensi per i diritti femminili impone per sé e le sue colleghe l’appellativo di “delegate”, invece di quel “care signore” (“dear ladies”) che ancora imperversava. 

spose-bambine

Accadeva circa un secolo fa, eppure quanto era avanti la pakistana Begum Shaista Ikramullah che, fra le prime musulmane indiane, abbandonò il velo e nell’articolo 16 della Dichiarazione riuscì a portare lo scandalo delle spose-bambine, stabilendo per uomo e donna uguali diritti nel matrimonio “Senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione”. Alla francese Marie-Hélène Lefaucheux si deve il corposo articolo 2 della Dichiarazione, con l’estensione di tutti i diritti e le libertà enunciati nella Carta ad ogni individuo, senza distinzioni per “stato politico, giuridico o internazionale”. Nei 60 anni di vita di Marie-Hélène, tanti colpi di scena da film, scrive Enrica Simonetti. Partigiana in lotta insieme al marito avvocato contro i tedeschi invasori, Marie si vede strappare il compagno Pierre dalla Gestapo: sarà destinato al campo di sterminio di Buchenwald ma lei, dopo averlo saputo correndo mille pericoli, insegue in bicicletta il treno sul quale Pierre viaggia verso la morte e riesce a tirarlo fuori dal lager; lo perderà 11 anni dopo in un banale incidente stradale. La vita atterra Marie-Hélène altre volte, le toglie anche il fratello minore ucciso dai tedeschi, ma solo un disastro aereo in Louisiana, nel 1964, la fermerà per sempre. 

Ciascuna di quelle otto donne ha frantumato soffitti di cristallo e compiuto imprese straordinarie, ultima la longevità che, a parte la Lefaucheux come detto, le accomuna. Longeve, si spera, come la vita delle loro creature più amate, i diritti umani.

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