Il numero di Donne Chiesa Mondo di ottobre esce sabato 28 settembre, alla vigilia della seconda sessione del Sinodo dei vescovi. Il mensile femminile dell’Osservatore Romano, curato da Rita Pinci, affronta ancora una volta la questione femminile nella Chiesa, facendo intervenire teologhe, sociologhe, religiose, liturgiste, storiche, leader delle organizzazioni cattoliche, fedeli. Titolo di copertina “Sfide e speranze – Al Sinodo un anno dopo”.
C’è un segnale che viene dall’Assemblea dei vescovi, nota la teologa Serena Noceti. Nell’”Instrumentum laboris” torna la locuzione “uomini e donne” e appare 22 volte, “utilizzata per definire l’identità dei discepoli di Cristo, destinatari dell’annuncio evangelico e missionari, nonché coloro che sono impegnati nella vita pastorale”. È una novità non solo simbolica, per Noceti. Suggerisce un riconoscimento della corresponsabilità di uomini e donne all’interno della Chiesa, e sessanta anni dopo un fatto storico: il 25 settembre 1964 ventitré donne entrarono per la prima volta come uditrici in un Concilio; prima a fare il suo ingresso nell’aula una laica, la francese Marie-Louise Monnet. Diventarono “madri conciliari”, un cambiamento generato dalla domanda del cardinale belga Léon-Joseph Suenens agli altri 2500 vescovi del Vaticano II il 22 ottobre 1963: “Dove è l’altra metà del genere umano?”.
Oggi, sottolinea la rivista, per le donne non si tratta di avere spazio, o potere purchessia. Al Sinodo, in diversi ruoli, ci sono quasi cento donne e molte, per la prima volta, hanno diritto di voto. C’è bisogno invece di un pensiero differente, scrive Chiara Giaccardi, sociologa e membro del Comitato di direzione di Donne Chiesa Mondo, perché il dibattito sulla questione femminile “sembra essere prigioniero di un errore epistemologico che si rispecchia nella più ampia riflessione contemporanea sulla questione del genere: maschio e femmina come elementi separati e contrapposti. Uno schema ‘binario’ che porta solo a polarizzazione, rivendicazione e conflitto, dentro e fuori la Chiesa”.
Anche l’ideale della “complementarietà”, sostiene Giaccardi, è una trappola. La parola chiave è reciprocità: a intendere che la questione non si risolve semplicemente con una divisione equa di spazi o poteri, ma con un’interazione dinamica e trasformativa, dove uomini e donne si arricchiscono l’un l’altra.