Ci sono giornalisti che fanno tutta la vita i giornalisti. E altri più inquieti. Wanda Marra, che ha lavorato all’Unità e lavora al Fatto Quotidiano dalla fondazione, è fra questi ultimi. E ha pensato bene di entrare in carcere. 

“Nel 2018 sono entrata per la prima volta in un carcere minorile (Casal del Marmo, a Roma), e di fatto non ne sono più uscita davvero. Un progetto, due progetti-scrive- un laboratorio nel carcere di Campobasso, un master in Giustizia riparativa, a Brescia”. La giustizia riparativa considera il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò consegue l’obbligo, per l’autore del reato, di rimediare alle conseguenze della sua condotta.

esistenze parallele

Una vita parallela a quella scandita da giornate in Parlamento, Consigli dei ministri, manifestazioni, percorsi di politica estera, conferenze stampa, serate in redazione. Le sue vite parallele, che non sono solo queste, Marra le racconta in un libro che si chiama “Cose che mi hanno salvato la vita” (People Editore). C’è a un certo punto -o forse è una tensione sempre presente- l’esigenza di fuggire da quel “tritacarne spaventoso e rassicurante, una ruota dove il criceto balla felice. Una bolla che rimanda a un presente eterno, annebbia le coordinate spazio-temporali. Fa sparire progetti, programmi, impegni, tabelle di marcia”. 

anelli e rolex

Fuggire dal giornalismo come impegno totalizzante, in breve. Il carcere, quindi. Le carceri. Insegnare la scrittura, che non è il giornalismo, è una cosa più grande, più necessaria, più profonda, di cui il giornalismo si serve, non sempre a proposito. La diffidenza dei giovani detenuti. La domanda di base: “Riuscirò a catturare il loro interesse?”. Le difficoltà aumentate -con i maschi- dal fatto di essere donna.

C’è la richiesta di J. di avere un anello, una sciarpa, gli occhiali, un braccialetto, la giacca, l’orologio Rolex di Wanda che attira grande attenzione, una specie di pegno. J, accusato di rapine dall’età di 14 anni, padre ignoto, madre sparita. E lettore accanito, classici russi, Austen, Flaubert, Hardy, Calvino. C’è la ragazzina dallo sguardo angelico che dice: “Oggi non ho voglia di vivere”. Gli occhi ipnotici di B. che entrava negli autogrill, ammucchiava beni di consumo a caso, s’impossessava della pompa di benzina, apriva le casse e seminava il panico. C., l’asiatica che sta in disparte, accusata di omicidio, “per autodifesa”.

davanti al mare

E poi E. che ha una storia con uno della palazzina dei maschi, che però non la vuole più e lei per la rabbia dice: “Farei un altro omicidio”. Tutto questo si mescola con Renzi, Conte 1, Conte 2, con la Meloni, i retroscena da scoprire, le liste dei ministri del nuovo governo, un Narciso che va e che viene, “successo vivente o fallimento esistenziale?”. Si aggiunge al Covid, ai viaggi a Varsavia e a Kiev, al tempo della guerra. Fino al risultato di E. che scrive un racconto, un racconto terribile di adolescenti, un gioco che diventa una tragedia davanti al mare, una storia di droga. E poi il ricovero di E., nel reparto psichiatrico.

“La doppia dimensione -scrive Marra- è qualcosa che mi perseguita. Studiosa, ma pure giornalista. Borghese, ma pure anarchica. Incasinata, ma pure quadrata. Razionale, ma pure emotiva. Simpatica, ma pure ombrosa. Socievole, ma pure introversa. E infine: in carriera, ma anche no”.

Professione Reporter

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