di ALBERTO FERRIGOLO
Ci sono giornalisti che vengono retribuiti in massaggi. O anche in pura, sola e semplice “reputazione”.
In base al principio o alla convenzione “della gratuità” della prestazione per il cosiddetto “lavoro autonomo non a zero”, come è stato di fatto ormai catalogato. Cosa significa? Remunerazione in curriculum. Cioè, si offre la possibilità di lavorare in modo da poter arricchire il proprio profilo di esperienze, utili per dimostrare chi si è, cosa si è fatto, di quali competenze ci si può avvalere. Lavoro in cambio di “crediti”, meriti e credibilità.
La fantasia “remunerativa” agli editori non manca. Nel quadro normativo incerto, ai freelance può accadere questo e altro. È quanto è emerso lo scorso 6 febbraio dalla riunione che si è svolta nella sede dell’Associazione della stampa romana di via della Torretta a Roma. Il mondo dei freelance giornalisti è composto da chi svolge un lavoro a tempo determinato, ma in un intreccio di partite Iva, collaborazioni coordinate continuative e di rapporti occasionali.
La riunione si è svolta alla presenza di alcuni legali dell’Asr, che hanno fornito indicazioni sulle tipologie di contratto esistenti, ma più spesso bypassate, e hanno offerto la possibilità di una prima ricognizione individuale per meglio tutelare i propri diritti, violati o compressi, magari in testate che puntano “a ricontrattare con condizioni meno vantaggiose”.
rapporto mascherato
In certi casi il contratto di collaborazione maschera un rapporto di tipo subordinato, attraverso la cosiddetta specifica contrattuale “a disposizione”, o attraverso la “subordinazione gerarchica di comando”, alla quale un collaboratore esterno non dovrebbe sottostare. Nel lavoro autonomo, specie in quello giornalistico, ci si può imbattere anche in “contratti verbali” o in prestazioni “a borderò”, dove “il compenso dovrebbe essere pattuito preventivamente, ma spesso così non avviene”, spiegano i legali dell’Associazione stampa romana. Però viene richiesto, a parole, il vincolo della subordinazione. Dell’impegno al quale non ti puoi sottrarre se non vuoi rischiare di perdere il lavoro. “E se il compenso non è pattuito, il contratto scritto non è neppure impugnabile” davanti a un giudice. Quindi attenzione, è il consiglio dei legali: pretendere sempre un contratto “nero su bianco”.
In genere le professioni liberali -avvocati, architetti, commercialisti, ingegneri- “rimandano a tabelle” ad hoc, al tariffario stabilito dagli Ordini professionali d’appartenenza, spiegano gli avvocati. “Per i giornalisti, invece, mancano i parametri normativi”. Più precisamente, solo nel 2012 sono state varate per legge le norme sull’”equo compenso” e nel 2014 è stato steso il regolamento che fissa gli importi per i lavoratori autonomi: per i quotidiani si aggirano, sulla base di un minimo di 144 articoli l’anno, pari a 12 articoli pubblicati in media per mese (per almeno 1600 battute), attorno a un trattamento annuo di 3000 euro (250 al mese a 20,83 per ciascun pezzo); per i periodici settimanali (minimo 45 articoli l’anno di almeno 1800 battute) 3000 euro (250 al mese a 67 ciascuno); per i periodici mensili (un articolo per numero di almeno 7000 battute) con trattamento annuo di 3000 (250 al mese, quindi ad articolo).
Nelle ipotesi invece di una produzione superiore (ovvero da 145 a 288 articoli), il compenso aggiuntivo sarà non meno del 60% del trattamento economico minimo stabilito per i primi 144 articoli (+1800 euro l’anno). Per produzioni superiori, le parti potranno concordare un compenso forfettario mensile. Il costo dei mezzi utilizzati resta a carico del collaboratore. Sono rimborsate le spese preventivamente autorizzate dal committente.
Per periodici editi dalle imprese firmatarie del contratto Uspi è previsto, per le prestazioni lavorative rese dai collaboratori coordinati e continuativi, un trattamento annuo minimo di 2.200 euro per almeno 4 articoli al mese (a 45,80 euro ciascuno). Per prestazioni lavorative superiori a tale livello minimo, il compenso dovrà essere proporzionalmente concordato tra collaboratore ed azienda e costituirà ulteriore indicazione essenziale del contratto individuale. Le prestazioni giornalistiche da 1800 battute saranno, invece, pagate 14 euro ad articolo e per prestazioni superiori per estensione, complessità e ricerca giornalistica, il maggiore compenso sarà liberamente concordato tra collaboratore ed azienda.
Per agenzie di stampa e web il minimo è stato individuato in 40 segnalazioni/informazioni, pubblicate in media per mese in ragione d’anno, con un trattamento annuale di 3000 euro. E se le segnalazioni/informazioni – al prezzo unitario di 6,35 euro ciascuna – sono poi corredate anche da foto, il compenso base è maggiorato del 30%, se corredate con video non montati, è maggiorato del 50%;
Per emittenti radio-televisive locali il trattamento annuo di 3000 euro è relativo ad almeno 6 prestazioni al mese (a 41,66 euro ciascuna)
Perché il compenso sia stato definito anche “equo” è difficile da comprendere. Di sicuro, non appare nemmeno dignitoso. Valutazione diffusa, che ha fatto saltare la pazienza dei freelance, mettendoli anche in conflitto aperto con il sindacato, la Fnsi, “che ha danneggiato tutta la categoria e rovinato la professione” -è stato detto nella riunione- sottoscrivendo nel 2014 un contratto che tiene conto dei parametri sopra descritti.
la questione qualita’
L’Associazione stampa siciliana e l’Associazione stampa romana hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio, che il 21 marzo di un anno fa è stato accolto favorevolmente dal Tribunale amministrativo, il quale ha poi concesso il tempo necessario per convocare la Commissione mista per la valutazione del caso. Commissione che non si è ancora riunita. Insomma, la partita per ridiscutere parametri e tariffe si è quantomeno riaperta. Mentre non è affatto risolta quella sulla qualità dell’informazione, “perché con un compenso di 20 euro a pezzo quanti articoli dovresti scrivere in un mese per giungere ad un compenso che consenta di vivere?”, si chiede una freelance romana che preferisce restare anonima. “E questo – prosegue – va a discapito delle fonti, del loro controllo e del controllo delle notizie, dell’approfondimento generale delle tematiche. Non c’è il tempo per fare tutto questo se devi pensare solo a produrre. Oltre al fatto che ti vieni a trovare in una posizione di subalternità e di ricatto: se rifiuti di sottostare a questo tipo di trattamento, ti dicono che fuori c’è la fila di persone disposte a lavorare a qualsiasi prezzo”. Da cui, anche la richiesta dell’anonimato.
La maggior parte dei freelance ritiene che il sindacato “non è adeguato” a far fronte alla situazione. Anche perché è strutturato solo per gli interni, cioè gli assunti, gli occupati. “Il sindacato va ancora a caccia degli abusivi in redazione – si racconta – ma anche al tempo in cui c’erano le ispezioni dell’Inpgi gli editori facevano sparire i collaboratori abusivi e li lasciavano a casa, mentre oggi con i nuovi mezzi di produzione si può impaginare direttamente sul computer da casa, così come da qualsiasi parte del mondo, senza neppure dover andare in redazione”.
I freelance pensano così da tempo di dar vita a un Coordinamento autonomo, ma poi nelle condizioni di lavoro date, per limiti oggettivi, non hanno la possibilità di seguire da vicino le questioni strettamente sindacali. All’interno della Fnsi è stata istituita una Commissione lavoro autonomo, ma dopo un anno che è scaduta non è stata più convocata né rinnovata.
E proprio il giorno 10 febbraio la Consulta dei Comitati di redazione e dei Fiduciari dell’Associazione Stampa Romana ha chiesto che “ci sia la massima attenzione sul ricorso agli stati di crisi da parte di aziende che non sono in una reale condizione di difficoltà economica, condizione necessaria per accedere ai fondi per i prepensionamenti previsti dalla ultima legge di Bilancio”. Altrimenti si rischia di affossare ulteriormente i già compromessi conti dell’Inpgi, l’istituto di previdenza della categoria, “e di impoverire i prodotti editoriali che vanno invece rilanciati con progetti adeguati e investimenti”.
Non è mancato l’invito ultimo alla Fnsi di avviare forme di mobilitazione affinché, nei casi in cui si ricorra ai prepensionamenti, “per ogni giornalista in uscita ci sia un giornalista assunto con tutte le garanzie contrattuali”, mentre la legge “stabilisce il rapporto un ingresso ogni due uscite con la possibilità di assumere anche di non giornalisti”.
Professione Reporter
(nella foto, Federica Iezzi)
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