di VITTORIO ROIDI

Quando si avvicina l’anno nuovo, dicevano una volta i saggi, è bene fare progetti. Per partire col piede giusto e dare slancio e spinta al proprio lavoro. Magari è ora di cambiare. Anche noi di Professione Reporter, dopo tre anni, dobbiamo provare a buttar giù idee, affinché l’associazione, il sito e la newsletter corrispondano sempre più alle attese dei giornalisti. Fischio io l’inizio, in attesa che il direttore Andrea Garibaldi, ma anche i soci (Raffaele Fiengo, Alberto Ferrigolo, Giampiero Gramaglia) e gli altri amici della Fondazione, Michele Concina, Claudia Terracina, Monica Guerzoni…. e tutti quelli che ci hanno aiutato dal 2021 ad oggi alimentino la discussione. 

Professione Reporter ha cercato di raccontare soprattutto cosa succedeva nel nostro mondo. Poche opinioni e molti fatti, questa è stata la linea. Dobbiamo continuare così? Secondo me non basta, per almeno tre ragioni.

castello in rovina

La prima: perché il castello sta tremando e perde pezzi. Dobbiamo fare qualcosa prima che crolli. I giornali stampati sono tutti in rosso (nell’ultimo anno il Corriere della Sera ha perso l’8%, la Repubblica il 10%). E i lettori on line non hanno rimesso i conti a posto, come molti garantivano.

La seconda: perché la pubblicità è diventata l’unico sostegno e spesso condiziona e inquina il lavoro dei giornalisti, anche se le norme deontologiche affermano che le notizie vanno tenute lontane dagli spot e dalle “campagne d’acquisto”.

La terza: perché fra i giornalisti si apre la stagione delle elezioni. Si voterà a marzo per il rinnovo dei 20 Consigli regionali e di quello nazionale. Dunque è il momento dei dibattiti, è l’ora in cui ciascuno – soprattutto i colleghi che sperano di essere eletti – dica come la pensa e cosa intende fare.

“bene essenziale”

Questioni, queste ed altre, che dobbiamo affrontare. Professione Reporter è lo strumento adatto, usiamolo per fare chiarezza, prima che il giornalismo subisca anche le conseguenze e le batoste dell’Intelligenza artificiale, sulla quale molti editori basano le proprie decisioni di “asciugare le redazioni”, cioè di licenziare. Una grande speranza viene dal Presidente della Repubblica, il quale più volte ha detto che il giornalismo va “tutelato”, visto che è un lavoro importante, un “bene essenziale”, come la sanità, la scuola, i trasporti. Non è possibile che le sue sorti siano affidate solo ai privati, alla loro scarsa sensibilità, al loro desiderio – anche logico – di fare quei profitti, che l’industria delle notizie oggi non offre quasi mai. I partiti politici non amano i giornalisti, li tengono lontani, li considerano poco più che disturbatori. Eppure, spetta a Camera e Senato fare leggi nuove. Seguiranno l’indicazione di Sergio Mattarella?

merce varia

La stessa democrazia dipende da quante e quali notizie arrivano ai cittadini, dunque dal contenuto del giornalismo. La Costituzione del ’48 ha posto come obbligatoria la libertà delle opinioni e delle idee. La legge del ’63 ha però imposto la verità dei fatti come obbiettivo di questo lavoro. Noi non siamo comunicatori qualsiasi, come gli intrattenitori, i romanzieri, i poeti. Se ci iscriviamo all’Ordine non possiamo raccontare favole.  E allora siamo sinceri: di verità quanta ne troviamo nelle pagine dei giornali di carta e nelle trasmissioni (radio, tv, on line) che spesso di giornalistico hanno solo il nome? Le imprese, i cosiddetti editori, non hanno questo dovere, possono offrire merce varia, pochi fatti certi, pochissime verità. Talvolta non ci riescono, ma in molti casi sembrano infischiarsene.

La conoscenza della realtà, che è parente stretta dello spirito democratico, è affare solo nostro. Di tutto ciò potrebbero occuparsi gli Ordini, che sessanta anni fa erano nati come strutture amministrative e burocratiche, ma che oggi dovrebbero per primi affrontare i problemi e le storture del giornalismo, per denunciarli e fare in modo che vengano affrontati dalla classe politica. Quella vecchia legge potrebbe oggi essere sostituita con indicazioni e regole più moderne e adeguate.

interessi commerciali

A fronte di fenomeni gravi gli Ordini non possono restare silenziosi. Quando un’industria pubblicitaria ha scritto ai singoli redattori lettere affinché tenessero conto dei suoi interessi; quando una redazione come quella di Repubblica ha scioperato per due giorni per protestare e respingere le pressioni; quando – perché questa è la sostanza – gli interessi commerciali si sono mescolati con quelli dei cittadini-lettori che hanno diritto di ricevere la verità (almeno quella “sostanziale dei fatti” che la legge 69 definisce “obbligo inderogabile” per i giornalisti); quando tutto questo succede, gli Ordini devono reagire, scendere in campo e difendere sia i lettori sia i giornalisti, dei quali sono i legali rappresentanti.

Professione Reporter a mio parere deve essere protagonista di una simile indispensabile discussione, e lo farà d’ora in avanti. Con la partecipazione e l’aiuto di tanti colleghi, dai quali ci aspettiamo idee, opinioni e (perché no?) anche qualche piccolo sostegno economico per continuare il lavoro. Perché la buona volontà, da sola, spesso consente scarsi risultati.

(nella foto, Humphrey Bogart ne “L’Ultima minaccia”, 1952)

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