di GIAMPIERO GRAMAGLIA
E’ appena arrivato; e già denuncia che le cose vanno troppo bene, non (ancora) per merito suo. O, forse, penseranno i colleghi più astiosi, cerca solo di farsi notare. O, forse, è vero l’uno e l’altro: provocatoriamente e pure intelligentemente. In ogni caso, bersaglio centrato: l’esordio di Ben Smith sul New York Times non passa inosservato.
Smith, 44 anni, dal 2012 direttore dell’area news del sito BuzzFeed, in precedenza a Politico e altrove – sempre testate importanti – è il nuovo editorialista della rubrica del New York Times dedicata ai media – media columnist.
Nel suo editoriale, Smith s’interroga sull’impatto che un “eccessivo” successo del New York Times potrebbe avere sull’ecosistema mediatico americano. Attenzione!, parliamo del giornale il cui editore, il padre dell’attuale, una dozzina di anni fa, si chiedeva se l’ultima copia cartacea sarebbe uscita nel 2017 – ipotesi ormai archiviata – o giù di lì. Oggi il NYT dà lavoro a quasi un giornalista su venti negli Usa: ne ha 1700 – e il meno pagato guadagna oltre 100 mila dollari l’anno -, mentre l’insieme a livello nazionale non supera nelle stime i 38 mila.
record di abbonamenti
Il New York Times sta facendo numeri eccezionali per gli abbonamenti all’edizione digitale (ne contava 4 milioni a novembre, su un totale di 4,9 milioni di abbonati) e – osserva Smith – ha più abbonamenti digitali del Wall Street Journal, del Washington Post e di tutti i 250 quotidiani locali del Gruppo Gannett – il gruppo di USAToday – messi insieme: un dato che rende l’idea di quanto ampia sia la porzione di mercato conquistata dalla testata newyorchese.
Quel che scrive Smith lo trovate nel link: l’articolo ha un punto di vista molto personale e trasforma quella che sarebbe una vittoria per la stragrande maggioranza dei giornalisti di questo mondo, cioè l’approdo al New York Times, in una sorta di sconfitta. “Ho trascorso tutta la mia carriera a sfidare il Times”, scrive Smith, “per cui venire a lavorare qui ha un po’ il sapore d’una resa”, invece d’essere il culmine d’un percorso di successi.
Assunto come direttore da Buzzfeed, Smith ne rafforzò il giornalismo investigativo: era l’epoca, lontana solo pochi anni, in cui giornali tradizionali erano in difficoltà, la pubblicità su carta non bastava più, le azioni del New York Times erano in calo, il giornale perdeva lettori e “aveva venduto tutto tranne i mobili per continuare a finanziare il giornalismo”.
Dall’altra parte, Smith ricorda “i giorni inebrianti dei giornali digitali nel 2014”, vissuti dalla parte d’un gruppo di startup che si preparava “a spazzare via i vecchi giornali morenti come il New York Times”. Una prospettiva che non s’è realizzata, anzi s’è praticamente rovesciata.
Oggi il New York Times sta cannibalizzando i rivali attirando i loro giornalisti migliori e diventando sempre più simile, secondo alcuni, a un monopolio. “Il New York Times – scrive Smith – domina talmente l’industria che ha assorbito molte delle persone che un tempo lo minacciavano”, come molti dei migliori giornalisti di Gawker, Recode, Quartz e Politico. E lo stesso Smith è un esempio di questa politica.
Tra le conseguenze c’è anche una specie di contaminazione di temi e toni. Molti giornali copiano quelli del New York Times considerati vincenti, come le battaglie ideologiche contro il presidente Donald Trump, condivise con il Washington Post, che avrebbero conseguito risultati contraddittori: da una parte, fatto vendere più copie; dall’altra, rafforzato lo stesso Trump, avallando l’impressione che i grandi media – i “fake news media”, come li chiama il magnate – gli siano preconcettualmente contrari.
Presi tutti i migliori
Dal canto suo, il New York Times riprende toni e temi di Gawker, dell’Atlantic, di Politico e altri, avendone assunto le persone migliori. “Il mio timore – scrive Smith – è che il successo del Times stia facendo fuori la concorrenza”, non tanto i singoli giornali rivali, quanto il principio stesso d’una competizione aperta.
Nella seconda parte del suo editoriale, Smith dà voce anche ad una visione meno drastica della sua, quella del suo editore Arthur Gregg Sulzberger, che vede intorno a sé fermentare la concorrenza e che prospetta una generazione di americani che sottoscriveranno più di un abbonamento mediatico. In quest’ottica, il New York Times non sta monopolizzando il mercato, ma ne sta creando uno. Sulzberger non vede in atto “una dinamica di uno-piglia-tutto, ma quella di una onda crescente che finisce per spingere tutte le barche in acqua”.
Una lettura che come Smith ammette è condivisa almeno in pubblico dalla stessa concorrenza: Adam McGrory del Boston Globe ritiene che il NYT “mostri a tutti la strada verso il successo”.
Ma c’è chi intravvede, come Smith, il rischio che il New York Times finisca per diventare il Google o l’Amazon del mondo dei media, come ipotizza il sottotitolo dell’editoriale, “un dinosauro digitale che fa fuori la concorrenza”. Molti temono, come Jim VandeHei, fondatore del sito di news Axios, che il NYT “diventerà sempre più grande, che le nicchie diventeranno sempre più nicchie e che non sopravviverà nient’altro”. E secondo Janice Min, ex direttrice di Us Weekly, il contenuto sempre più ricco e in grado di coprire ogni argomento del New York Times è una minaccia per tutte le altre pubblicazioni online. Sembra quasi il mondo alla rovescia, rispetto a una decina di anni fa: invece di profetizzare l’ultima copia cartacea del New York Times, eccoci qui ad annunciare l’ultima pagina digitale della sua concorrenza.
(nella foto, Ben Smith)
Sono così entusiasta di leggere questo. È meraviglioso!!