di MARCO GAMBARO* e RICCARDO PUGLISI**
Sono molti i settori e gli argomenti all’interno dei quali la conoscenza si basa in maniera eccessiva sui “si dice”, senza il conforto dell’analisi dei dati veri e propri. Per decenni, a partire dagli USA ma anche qui da noi il “si dice” riguardava l’efficacia delle notizie “leggere” (soft news) nel conservare se non aumentare il numero di lettori per i giornali e telespettatori per i telegiornali. Ad esse si contrappongono le notizie “serie” (hard news, su temi come l’economia, la politica domestica e nazionale, la sanità e la scuola) che invece rischierebbero di annoiare gli utenti.
Molti dibattiti nelle scienze sociali corrono il rischio di basarsi in eccesso su intuizioni e aneddoti, rispetto all’analisi rigorosa dei dati. Il tema del contenuto informativo dei mass media non fa eccezione.
impatto marginale
Secondo la teoria dell’ignoranza razionale, che risale ad Anthony Downs (1957), i cittadini hanno un incentivo forte ad evitare le notizie “serie” (hard news) perché il costo cognitivo di acquisire informazioni supera il beneficio individuale, dato che il loro impatto sulle decisioni collettive è marginale. Ciò favorisce la domanda di contenuti più accessibili e di intrattenimento (Zaller, 1999; Hamilton, 2007), cioè notizie “leggere” (soft news), dal contenuto informativo decisamente inferiore. In questo contesto, si è affermata l’ulteriore idea secondo cui la competizione tra i diversi media spinga all’ampliamento delle soft news e alla riduzione delle hard news, poiché i contenuti leggeri sono ritenuti più efficaci nel catturare audience.
journal of politics
Al contrario, un nostro recente studio, appena accettato per la pubblicazione sul Journal of Politics (tra le prime cinque riviste mondiali nella scienza politica), basato sull’analisi delle scelte individuali minuto per minuto dei cittadini appartenenti al campione Auditel, mostra una realtà dei fatti assai diversa: sistematicamente i telespettatori dei Tg della sera sono più propensi a cambiare canale -o a smettere di guardare la televisione- quando viene trasmessa una notizia leggera, rispetto a quando viene trasmessa una notizia seria. I dati Auditel sono collegati alla tipologia delle notizie trasmesse all’interno dei Tg, che abbiamo classificato partendo dalle rilevazioni dell’Osservatorio di Pavia. In questo modo è possibile osservare come si comporta il singolo “panelista” e mettere in relazione le scelte di visione con le sue caratteristiche demografiche o con caratteristiche comportamentali (esempio: consumo tv o fedeltà di canale). Uno dei risultati che emergono è proprio che le notizie serie attirano più pubblico rispetto al gossip e alle curiosità di costume. Questo dato sembra contraddire l’idea diffusa che il pubblico sia sempre più attratto da contenuti leggeri. Dall’altro lato, a onor del vero, sono le notizie sensazionalistiche (su disastri naturali o crimini salienti) a trattenere i cittadini nella visione del Tg ancor più delle notizie serie.
dove si dirigono
Stiamo ragionando su un insieme amplissimo di dati: un campione di 10mila spettatori e un numero di minuti complessivi pari a 76 milioni circa. Un altro risultato particolarmente interessante riguarda la mèta di coloro i quali smettono di guardare un Tg: quando ciò avviene durante una notizia seria vi è una probabilità largamente maggiore che il telespettatore smetta del tutto di guardare la televisione quella sera, rispetto al caso in cui l’abbandono del Tg avviene durante una notizia leggera: in questo secondo caso, è molto più probabile che il telespettatore non spenga l’apparecchio, ma vada a guardare un altro Tg su un altro canale, come se l’ammontare di notizie serie consumato quella sera non sia sufficiente.
Uno degli aspetti interessanti del lavoro è proprio la metodologia di operare sui dati elementari Auditel. Questi oltre ad essere utilizzati per il loro scopo principale, valutare le campagne pubblicitarie e l’ascolto dei diversi programmi, possono essere utilizzati per studiare fenomeni sociali e culturali che sono rilevanti per la vita politica e civile, come ad esempio il comportamento di consumo rispetto alle news.
laureati e altri
In media le persone guardano la televisione per tre ore e mezzo al giorno di cui 22-23 minuti dedicati all’informazione, cioè una percentuale appena superiore al 10%. La percentuale è abbastanza stabile per le diverse scolarità, e quindi i laureati vedono 16 minuti di notizie al giorno mentre le persone con licenza elementare ne vedono 34. Lo stesso succede per le classi sociali o il livello di reddito, che sembrano non influenzare le domanda specifica di notizie. Nelle classi di età invece ci sono variazioni, con i giovani che guardano meno notizie (9% del totale del tempo speso a guardare la tv) e gli anziani che salgono fino al 14%. Anche la percentuale di hard news consumate cambia con i giovani che ne guardano il 34% (del totale notizie viste) e gli over 60 che salgono al 40%.
In un modello econometrico sull’ascolto dei telegiornali, emerge come il consumo di notizie sia collegato principalmente al totale dell’ascolto televisivo. In altre parole, la quota di notizie guardate è relativamente costante lungo le varie caratteristiche sociodemografiche come il genere, l’istruzione o la classe socioeconomica, anche se ci sono alcune polarizzazioni. Non però per l’età, dove i giovanissimi guardano meno notizie e meno hard news rispetto alle generazioni più anziane. Gli anziani guardano più telegiornali rispetto ai giovani e preferiscono notizie serie. Chi ha un livello di istruzione più alto è più incline a seguire notizie di politica ed economia, mentre chi ha un’istruzione inferiore guarda più ore di tv, ma non necessariamente più notizie. Le donne tendono a guardare più Tv news rispetto agli uomini, ma la distribuzione tra notizie serie e leggere è simile tra i due gruppi.
dovere civico
Questi dati offrono spunti importanti per chi lavora nell’informazione. Se una parte rilevante del pubblico televisivo rivela preferenze favorevoli alle notizie serie rispetto a quelle leggere, si potrebbe riflettere sul fatto che investire in un giornalismo di qualità non costituisce unicamente una qualche forma di dovere civico connesso all’etica professionale, ma possa funzionare come strategia mediatica vincente che fa bene agli ascolti dei Tg stessi, come alcuni esempi di successo sembrano dimostrare.
Questa la ricerca completa: Gambaro, M., Larcinese, V., Puglisi, R., & Snyder Jr, J. M. (2024). “The Revealed Demand for Hard vs. Soft News: Evidence from Italian TV Viewership” Journal of Politics: https://www.journals.uchicago.edu/doi/abs/10.1086/734283
Questo il working paper CESifo, largamente corrispondente all’articolo su Journal of Politics: https://www.cesifo.org/en/publications/2023/working-paper/revealed-demand-hard-vs-soft-news-evidence-italian-tv-viewership
*Università degli Studi di Milano
**Università di Pavia