di STEFANO AVANZI
Il Philadelphia Inquirer ha chiuso la scorsa settimana la propria redazione dedicata alle notizie e all’engagement delle comunità sottorappresentate, attiva da quasi tre anni. La decisione, parte di una riduzione del personale che ha comportato otto uscite volontarie, è stata comunicata internamente senza menzionare direttamente la chiusura del desk. L’unità, composta da sei membri, era nata nel 2020 nel contesto delle proteste successive all’uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto e come risposta a un titolo giudicato razzista dallo stesso giornale. Il progetto si proponeva di coprire in modo più accurato e inclusivo le comunità di Philadelphia, in particolare quelle afroamericane, ispaniche, LGBTQ+ e con disabilità.
ascolto e partecipazione
L’iniziativa era stata lanciata dopo un processo di ascolto e pianificazione partecipata. Il 40% della popolazione di Philadelphia è afroamericana, mentre circa il 16% è ispanica. L’obiettivo del desk era migliorare la rappresentazione mediatica di questi gruppi. La chiusura dell’unità è stata riportata per prima da Axios. L’editore e Ceo Lisa Hughes ha rifiutato interviste sull’argomento, parlando genericamente di “tagli necessari” per mantenere l’attività principale del giornale, citando cali dei ricavi pubblicitari e della carta stampata.
Sabrina Vourvoulias, che aveva guidato il desk prima di essere trasferita alla sezione opinioni, ha descritto su LinkedIn la decisione come motivo di “profonda tristezza”, ricordando il lungo lavoro svolto per costruire un rapporto con comunità storicamente escluse dalla copertura giornalistica. Anche Jesenia De Moya Correa, coinvolta nella fase iniziale del progetto, ha espresso “devastazione” per la perdita di uno spazio dedicato a raccontare le storie di persone emarginate.
politiche inclusive
Secondo Andrea Wenzel, docente alla Temple University che ha condotto ricerche alla base della creazione del desk, la sua chiusura rappresenta anche un arretramento rispetto agli impegni assunti dall’Inquirer in termini di diversità, equità e inclusione (Dei). Il sindacato NewsGuild ha contestato il processo definendolo arbitrario e ha messo in dubbio la reale volontà dell’azienda di mantenere politiche inclusive.
In una nota ai dipendenti, Diane Mastrull, caporedattrice e presidente del sindacato, ha rivelato che la metà delle persone coinvolte nei tagli è composta da persone di colore, e che è stato detto loro che la mancata accettazione avrebbe portato quasi certamente al licenziamento. La giornalista Amy S. Rosenberg ha chiesto spiegazioni pubblicamente, sottolineando la perdita di cinque giornalisti di colore.
fondazione no-profit
L’Inquirer è di proprietà del Lenfest Institute, una fondazione no-profit. Il Ceo dell’istituto, Jim Friedlich, ha dichiarato via e-mail che non commenterà la decisione, sottolineando l’autonomia del giornale. Anche se al momento non ci sono dichiarazioni ufficiali sull’eventuale trasferimento del desk ad altri settori della redazione, alcuni dipendenti resteranno fino ad aprile per completare i progetti in corso.
La chiusura avviene in un contesto nazionale segnato da un ridimensionamento delle iniziative Dei, anche per effetto della Presidenza Trump e potrebbe avere ripercussioni su altre realtà editoriali impegnate nella copertura delle comunità meno rappresentate.
(nella foot, Lisa Hughes, Ceo del Philadelphia Inquirer)