(Papa Francesco, discorso ai giornalisti per il Giubileo della Comunicazione, 25 gennaio 2025):
“Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero”.
“Il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà”.
“Invito a mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato”.
“Raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche ‘hopetelling’. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato”.
“Vorrei espellere quella ‘putrefazione cerebrale’ causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, ‘scorrimento’, sui social media”.
(Discorso ai rappresentanti della Gesellschaft Katholischer Publizisten Deutschlands, 4 gennaio 2024):
“Quanti conflitti oggi anziché essere estinti dal dialogo, sono alimentati da notizie false o da dichiarazioni incendiarie che passano attraverso i media! Perciò è ancora più importante che voi, forti delle vostre radici cristiane e della fede quotidianamente vissuta, ‘smilitarizzati’ nel cuore dal Vangelo, sosteniate il disarmo del linguaggio”.
“Quando comunicate pensate sempre ai volti delle persone, specialmente dei poveri e dei semplici, e partite da loro, dalla loro realtà, dai loro drammi e dalle loro speranze, anche se farlo vuol dire andare controcorrente, e consumare le suole delle scarpe!”. (Discorso ai rappresentanti della Gesellschaft Katholischer Publizisten Deutschlands, 4 gennaio 2024).
(Discorso alla delegazione di giornalisti che gli ha conferito il premio “è giornalismo”, 26 agosto 2023):
“Quattro sono i peccati del giornalismo: la disinformazione; la calunnia; la diffamazione; la coprofilia, cioè l’amore per lo scandalo, per le sporcizie, dato che lo scandalo vende”.
“C’è bisogno di diffondere una cultura dell’incontro, una cultura del dialogo, una cultura dell’ascolto dell’altro e delle sue ragioni. La cultura digitale ci ha portato tante nuove possibilità di scambio, ma rischia anche di trasformare la comunicazione in slogan. No, la comunicazione è sempre andata e ritorno”.
(Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, 22 gennaio 2022):
“Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza. Ascoltare più fonti, non fermarsi alla prima osteria assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo”.
“Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. La vera sede dell’ascolto è il cuore”.
“La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso ‘ci si parla addosso’. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience”.
“La buona comunicazione non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà”.
“In molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista”.
“L’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi sorprendere dalla verità, fosse pure solo un frammento di verità, nella persona che stiamo ascoltando. Solo lo stupore permette la conoscenza”.
“Per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese”.
(Discorso per la consegna di onorificenze a due decani dell’informazione vaticana: Valentina Alazaraki e Philip Pullella, 13 novembre 2021):
“Al giornalismo si arriva non tanto scegliendo un mestiere, quanto lanciandosi in una missione, un po’ come il medico. La vostra missione è di spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia”.
“Il rischio è quello di lasciarsi schiacciare dalle notizie invece di riuscire a dare ad esse un senso. Per questo vi incoraggio a custodire e coltivare quel senso della missione che è all’origine della vostra scelta. Lo faccio con tre verbi che mi pare possano caratterizzare il buon giornalismo: ascoltare, approfondire, raccontare”.
“Ascoltare: per un giornalista, significa avere la pazienza di incontrare a tu per tu i protagonisti delle storie che si raccontano, le fonti da cui ricevere notizie. Ascoltare va sempre di pari passo con il vedere, con l’esserci: certe sfumature, sensazioni, descrizioni a tutto tondo possono essere trasmesse ai lettori, ascoltatori e spettatori soltanto se il giornalista ha ascoltato e ha visto di persona. Questo significa sottrarsi alla tirannia dell’essere sempre online, sui social, sul web”.
“Approfondire: nel tempo in cui milioni di informazioni sono disponibili in rete e molte persone si informano e formano le loro opinioni sui social media, dove talvolta prevale purtroppo la logica della semplificazione e della contrapposizione, il contributo più importante che può dare il buon giornalismo è quello di offrire il contesto, i precedenti, delle chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto accaduto”.
“Raccontare significa non mettere sé stessi in primo piano, né ergersi a giudici, ma significa lasciarsi colpire e talvolta ferire dalle storie che incontriamo, per poterle narrare ai lettori. La realtà è un grande antidoto contro tante ‘malattie’. Abbiamo tanto bisogno oggi di giornalisti e di comunicatori appassionati della realtà, capaci di trovare i tesori spesso nascosti nelle pieghe della nostra società e di raccontarli permettendo a noi di rimanere colpiti, di imparare, di allargare la nostra mente, di cogliere aspetti che prima non conoscevamo. Vi ringrazio anche per quanto raccontate su ciò che nella Chiesa non va, per quanto ci aiutate a non nasconderlo sotto il tappeto e per la voce che avete dato alle vittime di abuso”.
(Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, 23 gennaio 2021):
“Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona, senza uscire mai per strada, senza uscire dalla comoda presunzione del ‘già saputo’”.
“Esiste il rischio di ‘giornali fotocopia’ o di ‘notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali’, dove le inchieste perdono spazio a vantaggio di una informazione preconfezionata, ‘di palazzo’”.
“Con i social la rete può moltiplicare la capacità e la velocità di condivisione delle notizie, in un flusso continuo di immagini e testimonianze ed essere quindi uno strumento formidabile. Tutti possiamo diventare testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali e far emergere più storie, anche positive. Esiste però il rischio di una comunicazione social priva di verifiche: non solo le notizie ma anche le immagini sono facilmente manipolabili, a volte anche solo per banale narcisismo”.
“E’ merito di giornalisti, cineoperatori, montatori, che spesso rischiano nel loro lavoro, se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate”.
(Discorso per il sessantesimo anniversario dell’Unione cattolica della stampa italiana, 24 settembre 2019):
“La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. I vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere. Quante volte il giornalista vuole andare su questa strada, ma ha dietro di sé un editore che gli dice: ‘no, questo non si pubblica, questo sì, questo no’, e si passa tutta quella verità nell’alambicco delle convenienze finanziarie dell’editore, e finisce per comunicare quello che non è vero, che non è bello e che non è buono”.
“Una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano. Qualcosa non funziona. Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha; di raccontare le ‘buone notizie’ che generano amicizia sociale”.
“Mi soffermo su tre elementi: amare la verità, una cosa fondamentale per tutti, ma specialmente per i giornalisti; vivere con professionalità, qualcosa che va ben oltre le leggi e i regolamenti; e rispettare la dignità umana, che è molto più difficile di quanto si possa pensare a prima vista”.
“Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro. E’ questo il lavoro difficile e necessario al tempo stesso di un giornalista: arrivare il più vicino possibile alla verità dei fatti e non dire o scrivere mai una cosa che si sa, in coscienza, non essere vera”.
“Vivere con professionalità vuol dire innanzitutto – al di là di ciò che possiamo trovare scritto nei codici deontologici – comprendere il senso profondo del proprio lavoro. Da qui deriva la necessità di non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici. Dovrebbe sempre farci riflettere che, nel corso della storia, le dittature – di qualsiasi orientamento e ‘colore’ – hanno sempre cercato non solo di impadronirsi dei mezzi di comunicazione, ma pure di imporre nuove regole alla professione giornalistica”.
“Anche dietro il semplice racconto di un avvenimento ci sono i sentimenti, le emozioni e, in definitiva, la vita delle persone. Spesso ho parlato delle chiacchiere come ‘terrorismo’, di come si può uccidere una persona con la lingua. Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre. Certo la critica è legittima, e dirò di più, necessaria, così come la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro, la sua vita, i suoi affetti”.
“Voi giornalisti potete ricordare ogni giorno a tutti che non c’è conflitto che non possa essere risolto da donne e uomini di buona volontà”.
(Discorso all’Associazione Stampa estera, 31 maggio 2019):
“L’umiltà può essere la chiave di volta della vostra attività. Più della professionaità, della competenza, della memoria storica, della curiosità, della capacità di scrittura, dell’abilità nell’indagare e nel porre le giuste domande, della velocità di sintesi, dell’abilità nel rendere comprensibile al vasto pubblico ciò che accade. Ognuno di noi sa quanto sia difficile e quanta umiltà richieda la ricerca della verità. E quanto sia più facile non farsi troppe domande, accontentarsi delle prime risposte, semplificare, rimanere alla superficie, all’apparenza; accontentarsi di soluzioni scontate, che non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale. L’umiltà del non sapere tutto prima è ciò che muove la ricerca, La presunzione di sapere tutto è ciò che la blocca. Il giornalista umile è un giornalista libero. Libero dai condizionamenti. Libero dai pregiudizi e per questo coraggioso”.
(nella foto, Papa Francesco al Giubileo della Comunicazione, 25 gennaio 2025)