Domani, il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti, diretto da Stefano Feltri, mette a segno un colpo di mercato. Dal 1° gennaio arriva Attilio Bolzoni, cronista antimafia fra i più noti nel mondo, che lascia Repubblica dopo 41 anni. Da quando scrisse il suo primo articolo, il giorno successivo all’uccisione del capo della Squadra Mobile Boris Giuliano, a Palermo.
Farà inchieste e analisi. Probabilmente non replicherà il blog “Mafie” che aveva ideato e curava su repubblica.it.
Uno strappo doloroso, motivato in parte dalla minore attenzione che la Repubblica di Maurizio Molinari riserva ai temi della criminalità mafiosa al Sud. Un ritorno in “casa De Benedetti”, che con Domani voleva proprio rioccupare il posto della Repubblica della fondazione, giornale di sinistra, laico e radicale. Bolzoni era senza dubbio uno dei giornalisti che rappresentavano l’identità e la continuità di Repubblica guidata da Eugenio Scalfari, uno dei più prestigiosi. Il 29 dicembre è passato in sede, a Largo Fochetti, a Roma, per salutare i colleghi. L’incontro con Molinari è stato cordiale, diverse sono le idee di giornalismo.
grande inviato
Dopo l’avvento di Molinari hanno lasciato il giornale Bernardo Valli, il più grande inviato di guerra italiano, anche lui colonna della Repubblica storica. Se ne sono andati anche Gad Lerner, Enrico Deaglio, Luca Bottura, Pino Corrias. Bolzoni ha confidato ad alcuni amici che a Repubblica non si sentiva più a casa come una volta. Era in pensione e continuava a collaborare.
Sessantacinque anni, nato a Santo Stefano Lodigiano, ha vissuto a Palermo dal 1979 al 2004. Ha raccontato tutte le grandi stragi di mafia, gli assassini del generale Dalla Chiesa, del consigliere istruttore Rocco Chinnici, di Falcone e Borsellino. Ha iniziato collaborando con il quotidiano L’Ora per la cronaca nera. Corrispondente da Palermo di Repubblica dal 1982, fu arrestato nel 1988 insieme al collega Saverio Lodato de L’Unità per aver pubblicato le rivelazioni del pentito Antonino Calderone, violando il segreto istruttorio. Furono assolti nel 1991 dall’accusa di peculato e amnistiati per quella di rivelazioni del segreto istruttorio. Nel 1993 ha scritto, assieme a Giuseppe D’Avanzo, “Il Capo dei capi”, su Totò Riina. Nel 1995 ha scritto, sempre con D’Avanzo “La giustizia è cosa nostra”, dedicato al giudice Corrado Carnevale, accusato di aver “aggiustato i processi per conto di Cosa nostra” e poi assolto dalla Corte di Cassazione. L’anno successivo i due giornalisti hanno scritto “Rostagno: un delitto tra amici”, sull’omicidio di Mauro Rostagno, uno dei fondatori di Lotta Continua.
Bolzoni e D’Avanzo erano molto amici. Erano in bicicletta insieme, il 30 luglio 2011, a Calcata, un paese vicino Roma, quando D’Avanzo morì, in seguito a un malore.
“Capo dei capi”
Nel 2004 Bolzoni è stato uno degli sceneggiatori della miniserie televisiva “Paolo Borsellino”. In quello stesso anno è stato inviato da Repubblica in Iraq. Nel 2009 ha ricevuto il Premio E’ giornalismo, perché “da più di trent’anni racconta la Sicilia e la mafia”. Nel 2012 ha pubblicato “Uomini Soli: Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. Nel 2019 è uscito “Il padrino dell’antimafia”, cronaca italiana sul potere infetto, la storia di Calogero Montante, detto Antonello, presidente della Confindustria siciliana, ex simbolo dell’Antimafia.
Professione Reporter
(nella foto, Attilio Bolzoni)
Ripeto ancora una volta che se mi risulta evidente il disastro editoriale di questa svolta violentemente impressa al giornale (e a tutto il gruppo, vedi Radio Capital e MicroMega), e se è a mio avviso chiarissimo che Molinari era l’ultimo professionista al mondo cui affidare la direzione di un giornale come Repubblica, la logica sottesa a tutto ciò è assolutamente incomprensibile, e si giustifica solo con la mentalità di chi ritiene che ai giornali si possa applicare la stessa logica che si applica in qualunque settore industriale (tipo le auto, nel caso). Se proprio (ma pensarlo è da ignoranti) Verdelli era considerato inadatto, bastava, e l’ho già scritto altre volte, mettere Giannini – rimasto nel gruppo -alla direzione e si sarebbe evitato sia l’esodo inarrestabile di firme che hanno fatto la storia del giornale, sia l’emorragia di lettori storici che, secondo la logica distorta di costoro, dovrebbero riconoscersi, chessò, negli scritti di Siniscalco, Vernetti, Sabbadini, Bentivogli e altri collaboratori che l’illustre direttore è andato assemblando alla rinfusa e che con l’identità e la storia del giornale non hanno niente a che vedere. Certo, uno può pure ritenersi soddisfatto degli scritti di Cuzzocrea ed Audisio (nulla da dire, ma mi sembra davvero pochissimo) ma il pubblico di Repubblica era abituato ad altro. Notate inoltre che, per esempio, Merlo e De Gregorio non scrivono praticamente più, il che probabilmente prelude ad altre fuoriuscite. Serra ed Augias (e aggiungiamo Rampini) sono davvero gli ultimi giapponesi, ma, a differenza dei militari nipponici che ignoravano davvero che la guerra era finita da un pezzo, essi lo sanno invece benissimo, ma continuano come se niente fosse. Scelte rispettabilissime, per carità, ma sarà lecito affermare che da loro, proprio da loro, ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso ?
Apprendo in questo momento che anche Attilio Bolzoni ,dopo 41 anni lascia Repubblica.Possibile che queste notizie dobbiamo leggerle sempre su altri giornali ? Compro Repubblica dal primo numero ,avevo 25 anni ora 69, mi sono formato politicamente , e non solo ,grazie agli scritti di Eugenio SCALFARI e di tutti i suoi grandi collaboratori condividendo sempre la linea riformista del giornale.Continuo sempre a comprarlo però ,ultimamente, leggo solo i titoli,che spesso mi fanno girare le scatole, perchè mai costruttivi e spesso al livello di Libero ,La Verità.La mia sensazione è che il mio giornale è finito in mano a degli estranei che non riesco a capire da che parte stanno.
Esatto…mi associo agli autori dei commenti suddetti.