di DANIELE CURCI
In Grecia è in atto una stretta sull’informazione? È quanto sembrano suggerire alcuni episodi degli ultimi due anni, tra cui l’assassinio del giornalista Giorgos Karaivaz, venerdì 9 aprile
A gennaio il Ministro per la protezione dei cittadini, Michalis Chrisochoidis, aveva illustrato le nuove linee guida per le manifestazioni, redatte dal governo di centrodestra del premier Kyriakos Mītsotakīs. Il progetto di legge prevedeva che ai giornalisti sarebbe stata assegnata un’area specifica in cui rimanere durante le dimostrazioni. In seguito alle proteste da parte di giornalisti e associazioni il Ministro ha assicurato che il provvedimento sarebbe stato provvisorio e attivabile su richiesta della polizia. Ciononostante, secondo alcune fonti, durante le manifestazioni le forze di sicurezza cercherebbero di limitare i movimenti dei giornalisti, ricorrendo talvolta alla violenza. È quel che è successo a febbraio nel corso di un corteo di solidarietà per lo sciopero della fame di Dimitris Koufontinas: la polizia antisommossa ha attaccato un gruppo di giornalisti ferendone sette. Koufontinas è un ex terrorista del gruppo 17 novembre che protesta contro le condizioni carcerarie. Alcuni episodi risalirebbero perlomeno al 2020: il 15 luglio la polizia antisommossa avrebbe attaccato alcuni fotoreporter che stavano coprendo una manifestazione antifascista ad Atene. Il 9 agosto, invece, i giornalisti turco-curdi Çağdaş Kaplan e Bercem Mordeniz sono stati arrestati mentre tentavano di filmare l’arresto di un uomo che stava chiamando aiuto. Entrambi avevano mostrato i tesserini.
telecamera a terra
“Ho visto alcuni colleghi che durante le manifestazioni erano picchiati o subivano delle violenze verbali da parte della polizia. Le forze di sicurezza non sono molto gentili con i giornalisti durante le manifestazioni”, racconta una giornalista dell’emittente nazionale greca che ha chiesto di mantenere l’anonimato. “A novembre stavo coprendo la dimostrazione per l’anniversario del 17 novembre 1973, che avviene legalmente ogni anno per commemorare la rivolta degli studenti del Politecnico di Atene contro i colonnelli. La polizia ha iniziato a disperdere i manifestanti usando anche dei cannoni ad acqua. Io stavo coprendo gli arresti quando un poliziotto è venuto verso di me urlandomi di smettere di filmare. Quando è arrivato ha gettato violentemente la mia camera per terra, dicendomi che sarei stato multato perché portavo una maschera antigas. Ho cercato di mostrargli il tesserino, ma si è rifiutato di vederlo e mi ha portato alla stazione di polizia. Lì mi ha costretto, con violenza, a sedermi su una sedia, urlando con forza di fronte al mio viso cose sgradevoli”, racconta Tony Rigopoulos, giornalista di Documento, giornale di sinistra a diffusione nazionale. L’episodio è stato condannato anche dall’International Press Institute, e non è l’unico che riguarda il giornale greco.
ventidue poliziotti
A marzo il quotidiano di sinistra Efimerida ton Sintakton aveva pubblicato la storia degli abusi subiti da Aris Papazacharoudakis e da un suo compagno del collettivo anarchico Masowka di Nea Smyrni, ripubblicata poco dopo da Documento. Dopo la pubblicazione della storia i ventidue agenti coinvolti hanno inviato una lettera di smentita ai due giornali. Documento, come previsto dalla legge, ha pubblicato il testo della lettera, compresi i nomi dei ventidue poliziotti firmatari. Gli agenti hanno quindi presentato denuncia, perché la pubblicazione dei nomi avrebbe violato il diritto alla privacy. Pertanto, il 20 marzo è stato emesso un mandato di arresto nei confronti del direttore di Documento Kostas Vaxevanis. Il mandato non è stato eseguito, ma la denuncia è ancora in corso.
Un problema ulteriore sono le pressioni governative sui media: “La censura è presente nelle emittenti nazionali per gli argomenti che possono rappresentare delle difficoltà per il governo. Le emittenti, generalmente, supportano l’interesse governativo”. Ha raccontarlo è la fonte interna all’emittente nazionale, la cui testimonianza è confermata da alcuni casi che avrebbero potuto ledere l’immagine del governo e per i quali è stata fatta pressione affinché non venissero pubblicati.
“Stay at home”
Un problema che si legherebbe a quello dei finanziamenti pubblici. Durante il lockdown del 2020 il governo ha stanziato circa 20 milioni per i media al fine di sponsorizzare la campagna “Stay at Home”. “Non esistevano criteri precisi, o perlomeno non sono stati resi pubblici, in base ai quali questi soldi erano assegnati, se non il supporto che i media davano al governo”, afferma la fonte dell’emittente pubblica, confermata anche da Tony Rigopoulos. In seguito ad alcune proteste è stata quindi resa pubblica la “lista Petsas”, dal nome del portavoce del governo Stelios Petsas, dalla quale è emerso che effettivamente chi ha beneficiato dei fondi erano principalmente i media vicini al governo. Come anche la fonte interna all’emittente nazionale sottolinea, ciò danneggerebbe i media critici dell’attuale governo, come Documento, che non ha ricevuto il denaro. Al riguardo Rigopoulos sostiene che l’obiettivo sarebbe quello di colpire i quotidiani critici del governo, aggiungendo che dal 2019 Documento ha problemi di finanziamento per la defezione, a causa dei pressioni governative, di chi pubblicava le inserzioni pubblicitarie sul quotidiano.
La stretta sull’informazione riguarda anche i giornalisti stranieri inviati nei campi profughi, come Iason Athanasiadis, corrispondente del Die Welt . Mentre stava coprendo l’arresto di alcuni manifestanti greci durante una marcia di solidarietà per i migranti a Lesbo nel settembre 2020 la polizia lo ha ammanettato, nonostante avesse esibito il tesserino. Alcuni agenti lo hanno poi gettato a terra premendo sul suo corpo così violentemente da farlo urlare. Athanasiadis è stato rilasciato solo dopo alcune ore di detenzione. Riguardo le restrizioni per l’accesso dei giornalisti nei campi profughi, in particolare a Lesbo, si è espresso Pavol Szalai, responsabile di Reporters Without Borders per l’Europa e i Balcani:“La strategia delle autorità greche è chiara: scoraggiare i giornalisti dal riportare la gestione della crisi dei rifugiati a Lesbo, anche al costo di ricorrere alla violenza della polizia. Non è solo una violazione della libertà di stampa, ma anche negazione del diritto all’informazione al pubblico locale e internazionale”.