di ROBERTO SEGHETTI

Il chiacchiericcio sul trasferimento dell’Inpgi 1 all’Inps, l’informazione giornalistica non sempre “neutra” e spesso inesatta, l’entrata a gamba tesa di personaggi, anche molto esperti, ma da tempo nemici giurati dei giornalisti, la difesa autoassolutoria al cento per cento, senza se e senza ma, dei pur bravi colleghi che hanno amministrato in mezzo alla bufera della crisi di settore l’Istituto e di coloro che hanno sorvegliato (i ministeri), stanno mischiando un po’ troppo le carte su ciò che è accaduto e su ciò che potrà accadere. 

Vediamo dunque alcuni temi sollevati in queste settimane e cerchiamo di capirci qualcosa.

  1. Il trasferimento dell’Inpgi 1 all’Inps è previsto dal disegno di legge sul Bilancio presentato dal Consiglio dei ministri e che sta per approdare all’esame del Parlamento (Sui contenuti faccio riferimento all’articolo che ho già scritto per Professione Reporter https://www.professionereporter.eu/2021/10/pensioni-in-essere-pensioni-future-prepensionamenti-ex-fissa-tutto-quello-che-puo-succedere/). Dunque, tutto ciò che è previsto è passibile di modifica.
  2. Dalla presentazione del DDl di Bilancio il professor Boeri, già presidente dell’Inps, ha avviato una campagna di sensibilizzazione, suggerendo sostanzialmente tre interventi correttivi: il ricalcolo delle pensioni Inpgi considerate troppo elevate; il non coinvolgimento dell’Inpgi nelle gestioni future (né consiglieri di amministrazione, né consiglieri di vigilanza Inps ai giornalisti); il passaggio all’Inps anche dell’Inpgi 2, oggi in attivo. Sulla scia di Boeri si sono mossi, more solito, tutti i politici (e i loro supporter, anche nella professione giornalistica) interessati a sollevare polveroni per sostenere idee, scopi, magari anche per levarsi qualche sassolino nelle scarpe, che spesso non hanno nulla a che fare con i provvedimenti oggetto delle polemiche. 
  3. Possono essere riviste le pensioni in essere erogate dall’Inpgi? Tutto è possibile, ma questo passaggio appare alla stragrande maggioranza dei tecnici, degli esperti e dei conoscitori delle leggi italiane assai difficile, se non impossibile. Tre sono le ragioni di fondo che lo rendono tale. La prima riguarda la Costituzione. Maurizio Cinelli, esperto di normative sul lavoro e sulla previdenza, docente e membro di diverse commissioni di studio su questi temi, ha scritto su www.lavoce.info, sito di scambio di opinioni tra economisti, giuristi ed esperti di diversi settori, quasi in risposta e a correzione di Boeri: “Poco credibile è, innanzitutto, che possa superare il vaglio di costituzionalità un intervento perequativo portato, in ipotesi, sulle sole pensioni dei giornalisti, una volta che la gestione pensionistica sia unificata nell’Inps. Sono troppe le sperequazioni ancora presenti nel vigente ordinamento, perché si possa riuscire a “ritagliare” una posizione specifica alla situazione che riguarda i relativi trattamenti pensionistici, tale da poter affrontare adeguatamente l’eventuale vaglio di costituzionalità. Sono ben noti, d’altra parte, i problemi, tanto pratici quanto teorici, che incontrerebbe un generalizzato intervento di ricalcolo contributivo di quei trattamenti. D’altra parte, di fronte a siffatto progetto di perequazione c’è da chiedersi, realisticamente, a quali condizioni, chi e come potrebbe riuscire a portare la questione all’esame della Corte. La volontà del legislatore di favorire la categoria è troppo evidente, perché siano pensabili obiezioni al proposito”. Come dire: una cosa del genere o la fai per tutti o non regge, tanto più che ricalcolare tutte le pensioni con il contributivo è un vecchio pallino di Boeri e glielo hanno già smontato quando era presidente dell’Inps anche per impraticabilità tecnica (chi lo desidera, può approfondire, ma non è questo il luogo per farlo). 

La seconda ragione di fondo riguarda proprio l’adeguatezza delle pensioni Inpgi: perché sì, sono in genere più alte della media Inps, ma non senza motivo. Sì, c’è stato in passato, ma remoto, anche un sistema di calcolo più favorevole; ma da decenni è stato via via modificato, fino al punto che oggi non c’è già differenza sostanziale. La verità di fondo è tuttavia che le pensioni odierne dei giornalisti riverberano il livello delle loro vecchie retribuzioni. Oggi, per i giovani, gli stipendi sono meno pesanti dei decenni precedenti, ma prima non era così. Tra i giornalisti, e in particolare tra coloro che hanno fatto carriere importanti fino a oggi (inviato, caporedattore, direttore e vice) sono numerosi coloro che hanno ricevuto retribuzioni molto elevate. Di conseguenza, hanno versato molti contributi e la pensione ha raggiunto medie superiori a quelle Inps. La cartina di tornasole di questa verità sta nel fatto che, se si dovesse davvero fare un ricalcolo contributivo, è possibile che a rimetterci siano i giornalisti meno fortunati, quelli che hanno guadagnato di meno e avuto una carriera discontinua, perché gli altri, proprio coloro che fanno invidia e suscitano risentimento per le alte pensioni accumulate, se ne beneficerebbero. L’ultima ragione riguarda la singolarità dell’Inpgi 1, che è stato sì privatizzato, ma ha continuato ad essere considerato dallo Stato in tutto e per tutto sostitutivo dell’Ago, e quindi con garanzia pubblica come per tutti gli italiani, come previsto da una legge mai abrogata; ed è rimasto per giunta erogatore, con propri fondi, degli ammortizzatori sociali che tutte le altre categorie ricevono dall’Inps.  

In conclusione, chi agita questo spauracchio (Boeri, Il Foglio, qualche politico) sa bene che non otterrà questo risultato, ma non demorde perché l’obiettivo è un altro: piantare una bandiera ideologica. Il rischio massimo, allo stato attuale del dibattito e delle cose, è un qualche contributo di solidarietà.

  1. Ma l’Inpgi è arrivato al disastro per colpa di coloro che lo hanno amministrato e dunque vanno puniti? Qui bisogna tenere conto della storia e della realtà. Dato per scontato che ci siano stati errori (io stesso sono stato per molto tempo nel consiglio generale dell’Inpgi e anche se ho contribuito a disegnare una delle strette ai trattamenti decise durante la presidenza Cescutti e da molti anni sostengo che la soluzione dell’Inps fosse inevitabile, non credo di essere stato totalmente esente da errori), la verità è che la crisi è stata provocata con il concorso di colpa di diversi agenti. Ne cito alcuni, tanto per contestualizzare e ricordare i passaggi. Il Parlamento approvò la legge 416 sulle crisi aziendali molti anni orsono (1981). Per molto tempo fu uno strumento di gestione che venne mantenuto in equilibrio. Quando la richiesta di Cig e prepensionamenti cominciò a farsi più pressante, l’Inpgi si oppose duramente (presidenza Cescutti), richiese di verificare i bilanci dei quotidiani che richiedevano lo stato di crisi e ottenne di bloccare tutto, se il bilancio non presentava evidenze negative oggettive. Il ministero del Lavoro spesso si adeguò e questo aiutò il sindacato tutto a resistere. Maurizio Sacconi, diventato responsabile del Lavoro nel 2008, modificò questo punto, consentendo di concedere la crisi anche nel caso in cui fosse solo “prospettica” o nel caso di una ristrutturazione produttiva. L’Inpgi e il sindacato persero così il principale strumento legale per fermare i prepensionamenti. I tecnici del Lavoro si adeguarono velocissimamente. I Cdr, quand’anche tentarono di resistere, si dovettero confrontare con editori sicuri di avere il coltello dalla parte del manico e nello scontro duro a volte furono sconfitti nelle loro stesse redazioni, perché la crisi cominciava a fare paura (perché io, giovane, devo andare in Cig o vedere il mio lavoro a rischio se un vecchio se ne può andare in pensione?). Le associazioni di stampa e la Fnsi, vuoi per sopravvenuta debolezza oggettiva, vuoi per debolezza propria, trattarono. E anche quando tentarono di non trattare, ai funzionari del governo bastò la firma dei Cdr per dare luogo alla ristrutturazione. Da qui in poi, una valanga di prepensionamenti ha scardinato la categoria, tolto contributi (pesanti, perché dei vecchi giornalisti) e aperto una falla nelle uscite a causa di pensioni elevate anche a causa delle retribuzioni elevate dei decenni precedenti. Mentre le assunzioni nuove di giovani si sono ridotte e, anche quando ci sono state, sono avvenute a stipendi meno pesanti, con conseguenti contributi più leggeri a corroborare le casse dell’Inpgi. I ministeri vigilanti, Lavoro e Economia, così come la Autorità di vigilanza sui fondi pensione privati, hanno tenuto conto di questa realtà e un po’ per la consapevolezza di essere di fronte a una crisi di settore strutturale, un po’ per non disturbare il manovratore (diciamo pure il rapporto tra il governo e gli editori e tra il governo e i giornalisti), pur vedendo con dovizia di particolari dove si stava andando, hanno chiuso un occhio e lasciato fare. Tanto più che a pagare non era lo Stato, ma i giornalisti con i loro contributi, dato che cig, cassa integrazione e altro ancora pesava sulle casse dell’Inpgi e non su quelle dell’Inps come per tutte le altre categorie di lavoratori dipendenti. Gli amministratori dell’Inpgi, eletti dalla categoria, hanno via via approvato riforme e riformette più stringenti, ma sempre insufficienti perché ad ogni stretta la categoria tutta (e gli editori per quanto riguarda l’eventuale aumento dei contributi) ha prodotto una fiera opposizione (a cominciare dai consiglieri delle minoranze elette all’Inpgi). Ci sarà tempo per fare ricostruzioni e campagne elettorali nella categoria, per scambiarci invettive e valutazioni a vicenda; quel che è certo è che oggi fare i polli di Renzo sarebbe dannoso, tanto più che le colpe sono ben spalmate, anche se non sono di tutti. Almeno fino all’approvazione del Bilancio: Primum vivere.
  2. Potremo eleggere ancora i nostri rappresentanti, per le questioni che riguardano la categoria, nel consiglio di amministrazione e nel Consiglio di sorveglianza dell’Inps? Ecco: questo è sicuramente un punto sul quale chi vuol picchiare sui giornalisti avrà qualche possibilità in più in Parlamento. Dipenderà dall’andamento del dibattito e dalle maggioranze che si formeranno su questo capitolo. Ma anche dalla sensibilità e dalla eventuale mobilitazione su questo tema della categoria.
  3. Idem per l’Inpgi2. Potrebbe essere molto forte in Parlamento il tentativo di portarlo dentro l’Inps anche per compensare con la sua parte di patrimonio i costi dell’Inpgi 1. Controindicazioni normative ci possono essere, ma non sono così forti come per la revisione delle pensioni. Si vedrà.
  4. Ex Fissa. Di questo il Disegno di legge del Bilancio non parla proprio.  

(nella foto, Maurizio Sacconi)

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