Secondo: citare la condizione di disabilità di una persona solo quando è effettivamente rilevante per la narrazione dei fatti e, ove sia citata, utilizzare comunque un corretto linguaggio che ponga sempre in primo piano la persona. Ad esempio: “persona con sindrome di Down”, “persona con disturbo dello spettro autistico”, “persona con disabilità motoria”, “persona non udente”, “persona priva della vista”.
Terzo: evitare neologismi quali “diversamente abile”, “diversabile”, “disabile”, “persona affetta da disabilità”, “persona con handicap” e altri vocaboli similari sostituendoli sempre con la locuzione “persona con disabilità”. Anche il termine “handicap” deve essere sostituito dalla parola “disabilità”. Nel caso in cui si rendesse necessario riproporre una citazione diretta di un testo normativo o altro che riporti termini diversi da quelli sopra descritti, sarebbe opportuno virgolettare il termine e, ove possibile, indicarne il motivo riportandone la corretta nuova definizione.
Quarto: se nella citazione diretta è presente un termine dispregiativo o inappropriato (ad esempio si pone l’accento sulla malattia, si utilizza un termine connotato negativamente eccetera), è opportuno non riportarlo. Ove fosse necessario riportarlo, per qualsiasi ragione, sarà necessario specificarne la motivazione e proporre in alternativa il termine corretto. Ad esempio se occorre riportare il termine “mongoloide”, specificare che tale termine rappresenta la disabilità in modo dispregiativo e non è utilizzabile, mentre la corretta definizione è persona con sindrome di Down.
atleti paralimpici
Quinto: quando si necessita di un supporto o si hanno dubbi su aspetti di carattere generale è possibile chiedere l’aiuto alle federazioni o alle organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità o rivolgersi direttamente all’Osservatorio Nazionale sulle Condizioni delle Persone con Disabilità in Italia.
Sesto: vanno evitate sia le narrazioni che vedono la persona con disabilità descritta come “vittima” sia come “eroe” (va dunque evitato in ogni caso il sensazionalismo). Allo stesso modo, evitare di utilizzare eccessivamente come “esempi” storie di atleti paralimpici o comunque di soggetti che rientrano in una casistica di “successo” estremamente limitata. La cosa migliore rimane raccontare la “normalità” dell’individuo, della sua vita, del suo contesto.
Settimo: evitare di modificare forzatamente il discorso quando si parla con una persona con disabilità, o quando questa è presente, in quanto sarebbe discriminatorio. È importante agire in modo naturale utilizzando anche espressioni di uso comune come “ci vediamo dopo” o “sei davvero in gamba”.
Ottavo: l’utilizzo di termini non pienamente rispettosi da parte di persone appartenenti a gruppi a rischio di stigma non giustifica l’utilizzo di quei termini, tanto meno da parte di persone esterne a quel gruppo. Se un termine può discriminare, non importa chi lo utilizzi, non va usato.
lessico giusto
La Guida contiene anche un vocabolario, da “abilitazione” a “stigma”, con i termini e le norme che riguardano la materia e le sue evoluzioni. Un capitolo, “Il lessico giusto”, entra ancor più nel merito di come si debba parlare e scrivere di disabilità. L’esigenza di eliminare espressioni come “corretto o ridotto su una sedia a rotelle” (meglio “persona che si muove in sedia a rotelle”), mongoloide, nano, nanetto, ritardato, minorato, sordo, sordomuto, zoppo, storpio. Un capitolo illustra le diagnosi di disabilità in base alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. C’è poi la spiegazione del ruolo del Disability management di Intesa San Paolo.
E la spiegazione di come questa impostazione “people first”, che privilegia appunto la persona e non la malattia, non sempre piace: “Non tutte le persone con disabilità preferiscono questo approccio e, nello specifico, alcuni membri delle comunità di persone con autismo e sordità preferiscono un linguaggio incentrato sull’identità. Il linguaggio ‘identity-first’ parte da presupposti completamente opposti perchè menziona per prima la disabilità, per esempio ‘una (ragazza) Down’ o ‘un (ragazzo) autistico’”. Quindi “per trovare la terminologia più adatta, la soluzione preferibile è contattare la persona con disabilità oppure un portavoce di un’organizzazione che rappresenta le persone con la disabilità in questione. Quando ciò non è possibile, si consiglia di usare il linguaggio ‘people-first’”.
La Guida è liberamente tratta dalla Disability Language Style Guide redatta dal National Center on Disability and Journalism dell’Arizona State University (USA). L’iniziativa, sul fronte Intesa San Paolo, è stata seguita da Elisa Ferrio, Head Media Institutional, social and cultural activities, Media and Associations Relations, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer Area e da Stefano Lucchini, Chief Institutional Affairs and External Communication Officer.