di STEFANO AVANZI 

Il New York Times è finito sotto i riflettori per le sue linee guida che invitano i giornalisti a limitare l’uso di termini come “genocidio” e “pulizia etnica” nella copertura della guerra di Israele nella Striscia di Gaza. Una copia del memo interno è stata ottenuta da The Intercept, scatenando polemiche e accuse di parzialità nei confronti di Israele.

Secondo il memo, redatto dalla responsabile degli standard del Times, Susan Wessling, e dall’International editor (responsabile Esteri) Philip Pan, ai giornalisti è stato chiesto di “evitare” di utilizzare l’espressione “territorio occupato” per descrivere la terra palestinese e di non utilizzare la parola “Palestina”, se non in casi eccezionali. Queste direttive, insieme ad altre restrizioni sui termini da utilizzare nella copertura del conflitto, hanno sollevato dubbi sulla neutralità del giornale e sulla sua aderenza ai principi giornalistici di base.

copertura del conflitto

Il memo ha suscitato preoccupazioni tra alcuni membri del personale del giornale, che hanno dichiarato a The Intercept che alcune delle sue disposizioni sembrano favorire le narrazioni israeliane a scapito della completezza e dell’obiettività nella copertura del conflitto.

“Penso che sia il genere di cosa che sembra professionale e logica se non si ha conoscenza del contesto storico del conflitto israelo-palestinese -ha detto una fonte della redazione del Times, che ha chiesto l’anonimato per timore di ritorsioni- Ma se lo sai, sarà chiaro quanto sia apologetico nei confronti di Israele”.

Distribuito per la prima volta ai giornalisti del Times a novembre, il documento – che ha raccolto e allargato precedenti direttive stilistiche sul conflitto israelo-palestinese – è stato regolarmente aggiornato nei mesi successivi. 

“prassi standard”

“Emettere linee guida come queste per assicurare accuratezza, coerenza e sfumatura nel modo in cui copriamo le notizie è prassi standard”, ha dichiarato Charlie Stadtlander, portavoce del Times. “In tutta la nostra reportistica, compresi eventi complessi come questo, ci assicuriamo che le scelte linguistiche siano sensibili, attuali e chiare per il nostro pubblico”.

La redazione del New York Times è stata teatro di intensi dibattiti riguardo alla copertura della guerra a Gaza, scatenata dagli attacchi israeliani del 7 ottobre. Secondo alcune fonti interne, alcuni membri dello staff hanno sollevato preoccupazioni riguardo a presunti favoritismi verso la narrazione israeliana e alla mancanza di uniformità negli standard giornalistici applicati.

chiarezza e precisione

Questi dissensi hanno trovato sfogo in varie piattaforme di comunicazione, come gruppi di chat su WhatsApp e Slack. Tuttavia, la tensione ha raggiunto livelli tali da richiedere l’intervento diretto di Philip Pan, Internazional editor del Times. Pan ha sollecitato una migliore comunicazione all’interno del team, esortando alla produttività e ad evitare che i disaccordi sfociassero in conflitti personali.

Tra i punti salienti, il memo su Gaza raccomandava la prudenza nell’uso di termini emotivamente carichi come “massacro”, “strage” e “carneficina”, sottolineando l’importanza della chiarezza e della precisione nel fornire informazioni ai lettori.

l’uso di “Strage”

A gennaio, The Intercept ha pubblicato un’analisi della copertura del New York Times, del Washington Post e del Los Angeles Times della guerra dal 7 ottobre al 24 novembre – un periodo per lo più precedente alla nuova direttiva del Times. L’analisi ha mostrato che i principali giornali hanno riservato termini come “massacro”, “strage” e “orribile” quasi esclusivamente agli israeliani uccisi dai palestinesi, piuttosto che ai palestinesi uccisi negli attacchi israeliani.

L’analisi ha rilevato che, al 24 novembre, il New York Times aveva descritto le morti israeliane come un “massacro” in 53 occasioni e quelle dei palestinesi solo una volta. Il rapporto per l’uso di “strage” era di 22 a 1.

vittime palestinesi

L’ultima stima del numero di morti palestinesi supera i 33.000, tra cui almeno 15.000 bambini – probabilmente sottostime a causa del collasso dell’infrastruttura sanitaria di Gaza e delle persone scomparse, molte delle quali si ritiene siano morte sotto le macerie lasciate dagli attacchi israeliani negli ultimi sei mesi.

Il memo prosegue, proibendo l’uso del termine “Palestina” tranne in casi eccezionali e invitando i giornalisti a evitare l’espressione “campi profughi” per descrivere le aree densamente popolate di Gaza. Queste indicazioni, sebbene presentate come linee guida per garantire un linguaggio sensibile e accurato, sono state criticate anche da alcuni lettori e commentatori esterni.

Gli argomenti di discussione nei gruppi di chat riguardavano gli attacchi israeliani all’ospedale Al-Shifa, le statistiche sulle morti civili palestinesi, le accuse di condotta genocida da parte di Israele e le dichiarazioni di Joe Biden a sostegno delle accuse del governo israeliano, non sempre verificate.

(nella foto, Philip Pan)

LASCIA UN COMMENTO