di ANDREA GARIBALDI
Penso che i giornali e le radio e i talk show dovrebbero, qualche volta, parlare del giornalismo.
Il giornalismo attraversa la più grave crisi dalla sua nascita, ma il discorso resta all’interno della categoria. Casomai, la categoria cerca di interloquire con la politica, per strappare concessioni, in cambio di maggior benevolenza.
Oltre 500 posti di lavoro perduti ogni anno. L’Istituto di previdenza che chiude l’anno 2019 con 169 milioni di rosso, in pre-fallimento, le pensioni in essere e quelle future in pericolo di svanire. Il lavoro pagato al ribasso fino a tre euro al pezzo. Il prestigio sociale sotto le suole.
Perché tutto questo non esce fuori? Non merita neanche un articolo ogni tanto, un punto della situazione, un approfondimento nell’ambito dei lunghissimi spazi di comunicazione sulle principali reti? In questi giorni i giornalisti sono scesi in piazza per protestare contro i nuovi prepensionamenti finanziati dal governo e contro la possibilità, concessa agli editori, di assumere nei giornali dei non-giornalisti, contro i ritardi nell’affrontare il disastro Inpgi. Ma la “copertura mediatica” è stata -come al solito- assai scarsa.
la casta non c’E’ piU’
C’è un problema di pudore. I giornalisti, che sono usi a parlare di tutto, perfino a giudicare tutto, ritengono che i loro problemi non interessino il pubblico. Per decenni lo hanno pensato anche perché tutto andava bene: buoni stipendi, pensioni, case, sanità e prestiti autogestiti. Categoria coccolata, temuta. Vita da appartenenti a una casta.
Ora si sentono molto meno al sicuro, ma l’idea è sempre che i problemi del giornalismo e dei giornalisti si debbano risolvere nelle stanze chiuse.
Si può ipotizzare che tale atteggiamento sia parte dei problemi. Il giornalismo non è una questione che riguarda i giornalisti. Il racconto professionale della realtà è una funzione primaria della democrazia moderna. L’attenzione alle azioni della politica, ai movimenti della società, alla voce dei cittadini, alle direzioni che prende l’economia costituisce linfa vitale per la conservazione della libertà, l’aspirazione all’uguaglianza, lo sviluppo della solidarietà.
Il giornalismo dovrebbe occuparsi di tutto questo, ma se si ripiega su se stesso la democrazia va in sofferenza.
Certe volte i giornalisti sembrano non amare la trasparenza su se stessi. L’Inpgi si oppone a fornire tutte le informazioni richieste dagli inquilini dei suoi palazzi sul piano di alienazione del patrimonio immobiliare. La Fnsi non fornisce con regolarità le informazioni sulla loro triste vicenda agli oltre 2000 colleghi che hanno visto sparire la loro ex fissa (un totale di circa 100 milioni di euro).
Appello ai direttori
I direttori dei giornali e i grandi conduttori di talk show dovrebbero dedicarsi -fra tante altre cose- alla crisi del giornalismo. Ordinare articoli e inchieste, invitare ospiti. Esaminare e dibattere le ragioni per cui l’Inpgi è finito nella palude. La privatizzazione del 1994, i prepensionamenti ripetuti a vantaggio di ricchissimi editori, l’opzione dell’ingresso dei comunicatori, l’opzione -per nulla automatica e scontata in caso di fallimento- dell’assorbimento da parte dell’Inps. Le diverse correnti e lotte intestine all’interno del sindacato unico, le motivazioni per mantenere in vita l’Ordine professionale. L’esigenza, già troppo trascurata, che Ordine e sindacato rinnovino completamente le loro strutture e competenze per fronteggiare i cambiamenti supersonici del mondo dell’informazione.
C’è chi sostiene che, nel mondo dei social, il giornalismo è avviato a sempre maggiore marginalità. I giornalisti devono essere convincenti nel sostenere le ragioni del contrario. Portare l’insieme di questo dibattito in pubblico sarebbe un modo per uscire dal ghetto, guardare con distacco certe contrapposizioni, cercare di affrontare con energia la crisi. E risultare perfino meno antipatici di quel che oggi i i giornalisti appaiono.
Sarebbe noioso parlare di tutto questo? I giornalisti -per mestiere- sanno appassionare a temi ben più pesanti. Non è facile riflettere su se stessi, ma per il bene pubblico è necessario.